di: Prof Randy Pausch
…Il mio sogno, come vi ho detto, era giocare nella Lega Nazionale di Football, ma probabilmente ho avuto molto più da questo sogno che non si è realizzato che da tutti quelli che invece si sono realizzati.
Avevo un allenatore. Firmai con lui a nove anni. Ero il più piccolo della Lega, e avevo un allenatore, Jim Graham, che era alto quasi un metro e novanta e aveva giocato da linebacker (difensore piazzato alle spalle della prima linea di difesa, nota del traduttore) con i Penn State. Era un colosso ed era della vecchia scuola. Intendo proprio vecchia…il primo giorno di allenamento eravamo tutti spaventati a morte da quel gigante. Lui arrivò… ed era senza pallone. Come avremmo mai potuto allenarci senza pallone? Allora un ragazzino si fece avanti e gli disse: «Senta coach, mi scusi, ma non c’è il pallone». E il coach Graham: «È vero. Ma ditemi un po’, quante persone ci sono in campo?». E noi in coro: «Undici per squadra, ventidue in tutto». «Esatto. E quante persone alla volta toccano il pallone?». «Una sola». «Giusto. Quindi noi inizieremo da quello che fanno gli altri ventuno».
Sì, è propria una bella storiella, perché parla delle cose fondamentali, le cose basilari, le cose che contano. È importante concentrarsi su queste, le cose fondamentali, perché tutto ciò che è superfluo e inutile non serve a niente.
L’altra cosa importante legata al coach Jim Graham riguarda l’allenamento. Mi stava sempre addosso, sempre. Mi faceva sgobbare e lavorare senza sosta: “Sbagli questo, ripeti. Sbagli anche quell’altro. Fallo ancora. Torna indietro e ricomincia. Me lo devi…dopo l’allenamento fai le flessioni” e così via. Un giorno, al termine dell’allenamento, uno degli altri coach mi si avvicina e mi dice: «Il coach ti ha lavorato ben bene, non è così?». Io rispondo di sì, e lui chiosa: «Si tratta di un buon segno. Quando sbagli qualcosa e nessuno ti dice più niente, significa che ormai hanno rinunciato».
Questa è una lezione che ho imparato e ho ricordato per tutta la vita: quando fai qualcosa di sbagliato e nessuno si prende la briga di dirti qualcosa, significa che è meglio cambiare aria. Chi ti critica lo fa perché ti ama e ti ha a cuore.
A lezione di vita dal professor Randy Pausch
NEW YORK Ha colpito e commosso l’America l’ultima lezione di congedo del docente universitario d’informatica Randy Pausch, pronunciata la settimana scorsa alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Pennsylvania. Pausch, 46 anni e tre figli piccoli, non andrà in pensione. È malato terminale di cancro e ha davanti a sé solo pochi mesi di vita. Il suo intervento di fronte agli studenti, intitolato «Come realizzare i sogni della vostra infanzia» ha pertanto assunto il valore di una vera e propria lezione di vita, ed è andata ben al di là dei confini dell’aula dove è stata pronunciata. Il filmato dell’intervento è stato scaricato da Internet e visto da migliaia di persone. Molti hanno scritto al professore per fargli sapere l’impatto profondo che ha avuto nelle loro vite con le sue parole sagge, la sua ironia, la fermezza a non farsi sopraffare dalla morte. Altri hanno preso il suo insegnamento alla lettera e hanno deciso di cambiare la loro vita, rivedere il rapporto con i figli, cambiare lavoro. Il Wall Street Journal ha definito la sua lezione «un viaggio affascinante e pieno di speranza», l’emittente Abc News lo ha nominato «Persona della settimana», un giornalista di Cbs gli ha chiesto se ci sarà ancora a Natale: «50 possibilità su 100» ha risposto Pausch, aggiungendo «Ma per la festa del papà non compratemi regali». Il professore non pensava certo di sollevare tutto questo entusiasmo nei suoi confronti: come ha spiegato, l’unica sua volontà prima di morire era di stare insieme alla sua famiglia, il vero motivo di dolore di fronte alla morte. Soprattutto ai suoi figli, che la vedranno da grandi, è davvero rivolta quell’ultima lezione di vita.
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