venerdì 27 febbraio 2009

La vita...



Gazie Marta per aver condiviso questa bellissima frase.

..una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali.Canta, ridi, balla, ama....prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi.

(Chaplin).

venerdì 20 febbraio 2009

Il cambiamento secondo San Francesco


Tratto dal libro "Tutta un'altra vita" di Lucia Giovannni.

"Che Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso cambiare, e la saggezza di distinguere tra le due".

San Francesco d'Assisi

giovedì 19 febbraio 2009

da "Risorse Umane" a PERSONE



Oggi voglio segnalare a voi ed a me stesso, questo libro (scritto da un amico che non ho ancora avuto il piacere di conoscere personalmente ma per il quale nutro una sincera ammirazione) che da questa presentazione si dimostrerà sicuramente interessante per le tematiche affrontate e sono sicuro ci regalerà degli spunti di riflessione che rileggeremo e riparleremo in futuro.…Che dire ancora?...Buona lettura!

Da “risorse umane” A Persone.
Un punto di svolta nel pensiero manageriale contemporaneo
di Stefano Greco

Nell’arco di circa un decennio, le persone hanno subito una specie di metamorfosi kafkiana diventando “risorse umane”. La mutazione si è poi completata di recente con la sigla “HR”, pronunciata con quell’ accento americano che oggi va tanto di moda nei titoli delle fiction mediche e criminali.
Naturalmente, non è una questione soltanto di parole. All’espressione “risorse umane” corrisponde infatti un progressivo degrado del concetto di persona nelle più diverse sfere sociali, dal lavoro alla politica, dall’istruzione alla salute, dall’ambiente all’economia, in Italia come nel resto del mondo. Lavoratori “transbiagici”, “schiavi moderni”, cittadini delusi ed impoveriti da sistemi politico-finanziari in bilico tra l’autoreferenzialità e l’illegalità, studenti sballottati da una riforma all’altra, utenti dei servizi pubblici presi in ostaggio da selvaggi scioperanti: il paradigma delle “risorse umane” va oltre l’azienda per inglobare anche altri contesti organizzativi.
Il punto di svolta atteso ed auspicato è quello del “Ritorno alle Persone” nel senso del concreto recupero della centralità del loro valore nelle organizzazioni e negli altri sistemi sociali.Prima di tutto, bisogna sviluppare consapevolezza sul fatto che non è l’azienda a gestire le risorse umane ma sono le persone a gestire le risorse dell’azienda: materie prime, semilavorati, soldi, tempo, conoscenze, relazioni, procedure, strutture, mezzi e strumenti.
In secondo luogo, responsabili di ogni ordine e grado sono tenuti a ricordare sistematicamente il principio fondamentale secondo il quale: “le scorte di magazzino possono essere gestite, mentre le persone vanno guidate”.
Tuttavia, come accade nella realtà, sulla carta siamo tutti grandi manager ma alla prova dei fatti sono pochi coloro che si dimostrano competenti dal punto di vista della leadership, intesa alla lettera come “funzione del condurre”.
In diverse organizzazioni possiamo trovare:
► Capi troppo seriosi e/o troppo formali, che “predicano bene e razzolano male” o incapaci di gestire i loro problemi personali
► Capi che interpretano il loro ruolo come mero esercizio di autorità e di potere – “chi sta sopra e chi sta sotto”
► Capi che discriminano e/o agiscono per marcate preferenze
► Capi stacanovisti che vedono di buon occhio solo collaboratori altrettanto stacanovisti
► Capi che ci “provano” con le collaboratrici, che molestano le persone chiedendo “favori inopportuni”.
► Capi che praticano il mobbing e/o che fanno pressioni inaccettabili
► Capi chiusi nel loro gretto punto di vista, incapaci di confrontarsi apertamente e/o di accettare il riscontro degli altri.
► Capi che hanno paura di far crescere i loro collaboratori
Tuttavia, il passaggio da “risorse umane” a Persone non è un problema di esclusiva pertinenza di chi comanda. I lavoratori stessi, e quindi ognuno di noi, sono responsabili della qualità del proprio approccio al lavoro e alla vita.
Ecco alcune delle frasi più significative e ricorrenti pronunciate da persone con scarsa autostima, negativizzate da convinzioni e comportamenti distruttivi:
“A che ora attacchi/stacchi?”
“Oggi sono al chiodo”
“ E’ dura passare le otto ore in ufficio!”
“Aspetto solo il 27”
“E’ dura mandare avanti la baracca”
“Il dramma del lunedì mattina”
“Che tristezza il mondo del lavoro!”
“Siamo tutti precari”
“Non vedo l’ora di andarmene in ferie”
“Tra 3 anni me ne vado in pensione!”
“Meno male che domani è venerdì!”
“Domani mi do malato, così gliela faccio vedere io a quello/a là…”
“Quello/a è proprio uno/una str…”
“Per l’azienda siamo solo dei numeri…”
“Ecco il solito lecchino!”
“Il capo/il Cliente non capisce un c…”
In sintesi, chi è innocente scagli la prima pietra. Siamo tutti coinvolti, chi più chi meno, nel salto di qualità richiesto nel definire un nuovo paradigma manageriale orientato al rispetto delle persone e all’eccellenza nella gestione dei sistemi organizzativi e sociali.
Tuttavia, il cammino da fare è ancora lungo, il cambiamento di rotta non appare così facile da realizzarsi, almeno nel breve termine. Troppe secche incagliano ancora il veliero del progresso inteso come orientamento al bene comune e alla valorizzazione dei singoli.
Oggi le persone vengono “sputate fuori” dall’azienda senza troppi salamelecchi.
Per gli over 40 o 50 che subiscono l’espulsione rapida, il lavoro diventa un “game over”
Per quanto riguarda invece i “giovani”, un contrappasso dantesco della precarietà è quello che vede le aziende tentare di consolidare rapporti di lavoro contrassegnati da forte discontinuità. Come è possibile fidelizzare, motivare, coinvolgere un lavoratore a progetto, a tempo determinato e/o scarsamente remunerato? L’Italia è diventato un vero e proprio hard discount dei talenti, molti dei quali, vista la mal parata, fuggono giustamente all’Estero in cerca di miglior fortuna. “What Matter Most”, come dicono gli anglossassoni, “ciò che conta di più” altrove qui da noi è scarsamente considerato, ovvero il valore delle persone. Le ultime stime ci parlano di quasi tredici milioni di precari, moltissimi dei quali soffrono di quella che mi sento di definire “asemiopatia esistenziale”, vale a dire l’incapacità di trovare dei significati per i quali valga la pena lavorare e per certi aspetti anche di vivere. L’effetto ansiogeno generato
dalla percezione di inconsistenza del futuro è talmente invasivo da far perdere alle persone i riferimenti necessari, in termini di autostima e determinazione, per sostenere il sacrosanto diritto all’affermazione individuale e alla dignità personale.
In altre parole, l’attuale scenario in cui siamo immersi, l’epoca delle “risorse umane”, presenta pericolosi rischi di “regressione storica che porta i fantasmi dello sfruttamento, dell’alienazione, della schiavitù e del razzismo a tornare sulla terra come degli zombie.
Ad esempio, possiamo ravvisare elementi shakespeariani nelle tante tragedie delle morti sul lavoro, dalla teatralità dello scaricabarile delle responsabilità ai clamori – (brevissimi) – o ai silenzi (prolungati) dei media e delle Istituzioni riguardo le soluzioni da approntare per fare in modo che non crollino più tetti in testa agli studenti o che degli operai non muoiano carbonizzati in una fabbrica.
Gli esodi biblici degli immigrati continuano ancora, seppur con modalità diverse che in passato, riproponendo l’eterno dramma dell’uomo costretto a sradicarsi per reimpiantare le sue radici in una terra straniera, spesso ostile o indifferente.
Il livello di insoddisfazione generale, di insofferenza e di saturazione delle persone ha ormai raggiunto il livello di guardia e probabilmente lo ha anche oltrepassato.
Siamo effettivamente stanchi di sentirci chiamare “risorse umane” e soprattutto essere trattati come tali, da certi manager, politici ed accademici dell’organizzazione.
Le persone che hanno conquistato la loro posizione lavorativa grazie al loro merito e che sudano per mantenerla ogni giorno, ne hanno abbastanza delle caste di privilegiati – non solo politici – e dei raccomandati figli di papà, nipoti di zii e nonni che, guarda caso, arrivano sempre prima e nei posti migliori. In alcune organizzazioni, pubbliche o private ormai non fa più differenza, possiamo ricostruire interi alberi genealogici di parenti e affini, ben radicati e ramificati in ogni direzione.
Tuttavia, sono convinto che non saranno le parolacce dei V-Day o di certi “libri manageriali” a risolvere il problema, anzi. Gettare benzina emotiva sul fuoco della rabbia non aiuta certo a spegnere l’incendio della delusione e della frustrazione. Credo invece che riportare la discussione e le argomentazioni sul piano di una riflessione orientata al problem solving operativo, ci aiuti a crescere e a responsabilizzarci tutti in modo più consono alla nostra intelligenza di esseri umani, se vogliamo ancora considerarci tali!
In sintesi, il punto di svolta nel pensiero manageriale contemporaneo lo avremo nel momento in cui chi occupa posizioni di leadership crederà fermamente nei seguenti valori e li tradurrà nei propri comportamenti di ogni giorno:
● Le persone sono il fine di tutte le attività, non le risorse da sfruttare
● La libertà d’impresa deve sempre coniugarsi con le responsabilità, altrimenti diventa libertinaggio
● Il manager eccellente è colui o colei che mette in pratica le tre C del successo manageriale, Credibilità, Coerenza e Coraggio, facendosi ricordare nel tempo dai suoi collaboratori in modo positivo.
● La flessibilità deve essere remunerata economicamente in modo maggiorato rispetto ai livelli attuali.
● Ricordarsi sempre il principio manageriale fondamentale secondo il quale: “Più le persone sono soddisfatte più sono motivate a produrre e ad offrire il meglio di sé; più le persone sono precarie e trascurate più rendono precaria l’azienda dove operano, orientandola al fallimento”.
Cosa fare è chiaro, come farlo forse un po’ meno.
In ogni caso, può esserci utile una riflessione di Dan Zadra:
"Nessuno può tornare indietro e crearsi un nuovo inizio, ma tutti possiamo iniziare da qui e creare una nuova fine".E tutti ci auguriamo che sia una fine degna di una bella storia!

martedì 17 febbraio 2009

"Sognate e mirate..."


«Sognate e mirate sempre più in alto di quello che ritenete alla vostra portata. Non cercate solo di superare i vostri contemporanei o i vostri predecessori. Cercate, piuttosto, di superare voi stessi».

William Faulkner

giovedì 5 febbraio 2009

"7%..."


Oggi voglio condividere con voi questo brano molto interessante che un tempo avevo letto ma che ieri mi è stato inviato dal mio amico Giannicola. Parla di cucchiai, "piccole" percentuali che fanno una "grande" differenza, di Paradiso e Inferno...Vi ho incuriosito? Buona lettura allora!

"7%"
Un sant'uomo ebbe un giorno da conversare con Dio e gli chiese:
Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l'Inferno.
Dio condusse il sant'uomo verso due porte.
Aprì una delle due e gli permise di guardare all'interno.
Al centro della stanza, c'era una grandissima tavola rotonda.
Al centro della tavola, si trovava un grandissimo recipiente contenente cibo dal profumo delizioso.
Il sant'uomo sentì l'acquolina in bocca.
Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, all'aspetto livido e malato.
Avevano tutti l'aria affamata.
Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, attaccati alle loro braccia.
Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po', ma poiché il manico del cucchiaio era più lungo del loro braccio, non potevano accostare il cibo alla bocca.
Il sant'uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze.
Dio disse: Hai appena visto l'Inferno.
Dio e l'uomo si diressero verso la seconda porta.
Dio l'aprì.
La scena che l'uomo vide era identica alla precedente.
C'era la grande tavola rotonda, il recipiente che gli fece venire l'acquolina.
Le persone intorno alla tavola avevano anch'esse i cucchiai dai lunghi manici.
Questa volta, però, le persone erano ben nutrite e felici e conversavano tra di loro sorridendo.
Il sant'uomo disse a Dio: Non capisco!
E' semplice, rispose Dio, dipende solo da un'abilità.
Essi hanno appreso a nutrirsi gli uni gli altri mentre gli altri non pensano che a loro stessi.
Si stima che il 93 % delle persone non presta attenzione al suo prossimo mentre solo il 7% lo fa!
Inferno e Paradiso sono uguali nella struttura....
La differenza la fa ognuno di noi!

mercoledì 4 febbraio 2009

"Sogni & Obiettivi"


Tratto da "Il Delfino e le onde della vita" di Sergio Bambaren

"Sei tu il padrone del tuo destino.
Tutto il resto non conta.
I tuoi sogni sono il faro luminoso
che ti condurrà sempre verso un porto sicuro.
Una mente aperta,
la voce del tuo cuore
e il desiderio di essere ciò che vuoi essere:
questo è tutto ciò di cui avrai bisogno
per continuare a raggiungere i tuoi obiettivi,
per non smettere mai di realizzare i tuoi sogni,
Per vivere una vita unica e solo tua!"

lunedì 2 febbraio 2009

"Arrosticini d'Abruzzo"


Spesso accade che quello che ci circonda, la nostra città, i nostri amici, i cibi della nostra regione ci sembrano scontati; ma quando "usciamo al di fuori dei nostri confini" tutto sembra diverso. Diventiamo amanti e patrioti della nostra città natale (magari spesso è un piccolo paese), gli amici di quartire vengono dipinti con i nuovi conoscenti come Grandi Amici e le pietanze semplici della tradizione (in questo caso abruzzese) vengono esaltati all'ennesima potenza (come è giusto che sia). Lo stesso effetto lo abbiamo quando la nostra città o le sue pietanze vengono esaltate in qualche programma in televisione o su riviste nazionali. Ebbene a me è successa la stessa cosa ed ecco perchè voglio dedicare questo post ad una pietanza della nostra terra veramente speciale ed originale: gli arrosticini.
Ormai da diversi anni compro il giovedi con "La Repubblica" l'allegato "Viaggi", e proprio la settimana scorsa è stato dedicato un articolo agli ARROSTICINI che di seguito riporto.

Mi piacerebbe ricevere dei vostri commenti su questo cibo soprattutto da chi vivendo fuori regione ha avuto la possibilità di assaggiarli. Buona lettura e...Buon appetito!

"Gli Arrosticini sono una prelibatezza che rappresenta tutto l'Abruzzo, essi nacquero sull'altopiano del Voltigno"

"Da un lato la vetta imbiancata del Gran Sasso, dall'altro le colline dell'entroterra pescarese che degradano verso il mare. Terra di transumanza e tradizioni gastronomiche legate al mondo agropastorale, la provincia di Pescara, che dal mare si spinge fino alle propaggini del Gran Sasso, è la culla di uno dei cibi più caratteristici e gustosi del Centro Italia: "gli arrosticini di pecora". Nati dall'esigenza di nutrimento dei pastori che nella transumanza utilizzavano la carne delle pecore troppo vecchie per figliare o produrre latte, infilzata in spiedini, oggi gli arrosticini sono diventati una prelibatezza che si identifica con il territorio abruzzese ma che sta conquistando consensi anche al di fuori della regione. Nel tempo questo cibo popolare ha conosciuto la sua evoluzione, tanto che oggi vengono utilizzate le migliori parti di pecore di giovane età. In realtà i migliori arrosticini sono preparati infilzando tocchetti di carne di pecora o castrato, alternandone i tagli (spalla, coscia e pancia) e frapponendo dei piccoli pezzi di grasso per amalgamarne il gusto e renderli più morbidi. Rispetto agli arrosticini preparati in serie, tutti uguali e con pezzi di carne di un cm., questa tipologia è la più pregiata perchè necessita di carne di ottima qualità che deve reggere anche una cottura più lunga, Le "rustelle" o "arrustelle" come vengono chiamati nel dialetto locale, devono essere cotte sulle "rustillire", barbecue stretto e lungo privo di griglia creato per poter girare con facilità l'arrosticino senza rischio di bruciare il legno dello spiedino; la brace deve essere alla giusta temperatura e il cuoco deve mettere la sua abilità nella salatura e nei tempi di cottura. La tradizione del mangiare carne di pecora alla brace sotto forma di arrosticini è propria di tutto l'Abruzzo anche se la sua origine viene fatta risalire al territorio pedemontano della Provincia di Pescara nei dintorni dell'altopiano del Voltigno, nel Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga. Da queste parti molte trattorie o osterie offrono cene a base di arrosticini e bruschette. Nella tradizione la pecora viene di giorno tagliata a pezzi, selezionandone le parti che andranno a costituire l'arrosticino che poi, la sera, andrà cotto sulla "furnacella". In alcuni di questi locali è possibile trovare varianti, come quella degli arrosticini di fegato di pecora cotti alternati a fettine di cipolla. (Francesco Vignali).