lunedì 29 dicembre 2014

"IL destino non esiste" di Maura Chiulli

Festival letterario "Montesilvano scrive". Racconto vincitore della quinta edizione di "Una storia di Natale"

"Il destino non esiste" di Maura Chiulli

"Adesso è facile è tanto facile
capire cosa c'è e amare quel che c'è
ricominciare a vivere per me con te."
Mina, Adesso è facile.

Aveva dormito poche ore. Un pugno di lana di vetro nella gola. Viveva un’angoscia atrofizzante, un sentimento senza nome, ma totale. Talmente forte da impestare il sonno. Talmente mascherato da
essere indefinibile. Aveva provato a cercare Sara, con la mano aveva sfiorato le lenzuola. Sapeva che in quei momenti, in cui l’abisso prendeva il nome della notte, lei era lì per salvarlo.
"Che succede amore?", la voce di Sara era un filo teso tra le loro bocche.
"Non lo so."
"Un incubo?"
"No, non posso respirare. Aiutami, sto morendo. Non ho sognato niente! Ho un nodo alla gola."
"Respira con me, ascoltami. Metti una mano sul mio petto e segui me…"
"Aiutami..."
"Segui me, piano, inspira ed espira. Piano. Piano".
Era come se Sara sapesse il nome di quel sentimento ladro. Era come se lei lo avesse già visto da qualche parte. Era come se lei, quella guerra di rabbia e di colpe, l’avesse già vinta una volta. Luca si sentiva gettato nudo in un campo di battaglia. Era spaventato, immobile da mesi, al centro di se stesso, con il cuore tra le mani, proprio quando pensava di aver fatto il possibile per guadagnarsi una vita felice. Se n’era andato di casa alla disperata ricerca di una vita, che prevedesse isolamento e libertà, solitudine e condivisione. Aveva superato il primo Natale da orfano e da assassino. Era così che si era sentito, quando aveva comunicato la sua decisione a sua madre e a suo padre. Ucciderli simbolicamente per venire al mondo: Luca aveva dovuto rinunciare a quel legame morboso e paralizzante, aveva imbracciato la colpa, il bisogno e il tormento e si era incamminato alla ricerca di un posto che avesse solo il suo nome. Il primo anno da solo era filato liscio, ma nei mesi, quel gesto così naturale, che prevedeva l’indipendenza e l’emancipazione, si era rivelato una specie di bomba carta con i chiodi, un ordigno rudimentale, che aveva ferito tutti a morte. La madre di sicuro non ce l’avrebbe fatta.
Luca aveva sempre odiato le feste, le domeniche, le cene e i parenti. La segreta casalinga l’aveva privato di ogni desiderio negli anni e lui si era replicato, aveva agito così come si doveva, senza mai opporre resistenza, per almeno un ventennio. Aveva accettato e rinunciato, perché l’odio silenzioso gli era sempre sembrato più sopportabile del senso di colpa. Il Natale, per lui, era solo una gettata di oro su un massetto di merda, ferro e cemento, una specie di momento lungo in cui ciascuno poteva costruirsi la sua casa comoda sulle macerie della sua stessa vita. E la messa obbligatoria della vigilia, quella veglia nell’abito buono seduto tra mamma e papà, quell’attesa snervata e silenziosa davanti a una culla ricoperta di fieno, era quanto di più raccapricciante e kitsch si dovesse fare ogni anno. Una di quelle consuetudini casalinghe che nemmeno la febbre poteva risparmiargli. Un colossale momento di vergogna, in cui a Luca non era permesso neppure scegliersi i vestiti. Per anni lo avevano conciato come un coglione: una specie di paggetto, che raccontasse al paese da che brava famiglia arrivava e agli amici che incapace che era. Lo avevano quasi ammazzato in nome del loro bisogno e Luca, per anni, aveva sacrificato se stesso, mostrando anche un sorprendente attaccamento a quel male travestito da bene. C’era un godimento in quella castrazione, che in nessun modo riusciva a scacciare. Una specie di pena che sentiva di meritare. Eppure Sara gli aveva raccontato una possibilità: era arrivata per restare e per dire, senza parole, che non è giusto accontentarsi del poco amore che si pensa di meritare, che non è giusto uccidersi per proteggere qualcun altro. Che addormentare la colpa con l’odio, uccide solo più lentamente. Che la scelta, il fallimento e il limite sono le esperienze migliori cui possiamo costringerci. Il loro rapporto aveva implicato una separazione: Luca aveva dovuto riconsegnare gli abiti del figlio. Gli era piaciuto, prima che arrivasse l'odio. Dopo una manciata di mesi di "non posso" difficili alla madre, di "ci penso io a me" gratificanti al padre, Luca incontrò la colpa. Fu una specie di uragano, che investì tutta la sua esistenza, Sara compresa. Gli incubi puntellavano le notti, che gli crollavano addosso. C'erano voci e ricordi confusi, c'erano le sue rese di bambino, le sue intere giornate consacrate a una famiglia chiusa a chiave intorno a suo figlio. E c'erano una madre e un padre, che aspettavano un ritorno, una nuova rinuncia. Il fiato si consumava, come una miccia, ma era in quell’anticamera di un’esplosione, che si annidava una monumentale esistenza libera. L’estate si gettò nel mare di foglie che disegnava l’autunno. Niente era fermo e Luca correva verso se stesso con una determinazione che non conosceva. Sara gli stava accanto, attenta solo a realizzare la sua di esistenza. E più pensava a se stessa, più c’era, più Luca la sentiva vicina. Forse l’amore non è altro che la parafrasi di un riconoscimento. Sara fu uno specchio, nel quale Luca finalmente poté scoprire i suoi desideri, uscire dal paradosso autistico del suo godimento del male e intuire che esisteva un intero universo bianco da conquistare. Il panico iniziò ad allentare la morsa e le notti si fecero sempre meno spaventose. L’angoscia, che Luca provava ogni volta che si sentiva ingoiato dal bisogno cannibale della sua famiglia, fece spazio al desiderio. Finalmente si sentiva padrone di una vita, che sceglieva di condividere con Sara. Non c’era laccio, non c’era dovere, non c’era fusione, non c’era necessità. Ogni cosa era agita con volontà. Forse l’amore non è altro che il fallimento di un’identificazione. Sara restò la donna libera e in mille pezzi che era e Luca lottò per difendere tutti gli uomini che scoprì di essere, anche i più abietti ed egoisti.  
L’inverno arrivò in fretta, per sorprenderli. C’erano loro due, le loro vite in costruzione e c’era un altro Natale e il desiderio nuovo di condividere quell’attesa, quella festa, che non li costringeva più a nulla, se non ai loro sogni. La madre di Luca era sopravvissuta e niente era finito in catastrofe. Il fallimento e la ricostruzione, la separazione e la colpa. Il bisogno e la speranza. Ogni estremo si era avvicendato con rabbia e Luca si era strappato la pelle pur di incontrarsi. Forse l’amore è quando ci sono le parole per dire che il destino non esiste, che vale la pena di liberare le radici di ogni pezzo di noi e che il dolore che proviamo a scavare dentro il petto a mani nude non ucciderà. Forse l’amore è un segno, una parola, un riconoscimento, un attimo eterno e pericoloso nel quale la solitudine è una splendida promessa di libertà.


© Maura Chiulli - Natale 2014.

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