martedì 8 maggio 2012

Starbucks - La storia

Ci sono marchi aziendali che per natura e particolare appeal si sono saputi duplicare in tutto il mondo ed in alcuni casi sono stati i "simboli della globalizzazione". Ma questa globalizzazione/presenza globale di punti vendita è possibile solo se gli abitanti di quella nazione apprezzano l'azienda ed i prodotti che offre. Da appassionato di storie imprenditoriali, e da addetto al settore della ristorazione non potevo fare a meno di citare nel mio blog la bellissima storia di STARBUCKS e del suo visionario fondatore, storia che ho tratto dal libro "McItalia". A completamento di questa mia introduzione devo dire però che non ho avuto ancora il piacere di vivere personalmente "l'esperienza Starbucks", voi l'avete vissuta? Cosa ne pensate? Riscontrate quanto vissuto da voi in questo articolo? Buona lettura...

Trovatelo un imprenditore come HOWARD SCHULTZ. Forse non sarà famoso come Steve Jobs, mitico fondatore della Apple, o come Bill Gates di Microsoft, eppure questo ragazzo del 1953, nato in una casa popolare di Brooklyn, ha cambiato la società americana almeno quanto i primi due. Schultz, infatti, è l' "inventore" di STARBUCKS, ovvero l'uomo che ha insegnato agli Stati Uniti a bere il caffè. Ma la cosa più straordinaria è un'altra. L'idea magica, la formula che ha trasformato una piccola catena locale in un colosso, con oltre 17.000 negozi disseminati in 55 Paesi e quasi 11 miliardi di ricavi nel 2010, gli è venuta in Italia.
Ancora oggi Howard non smette di raccontarla quella folgorazione che lo raggiunse a Milano nel lontano 1983. Immaginate la scena: un bar elegante vicino Piazza Duomo, il bancone in legno, il barista che sorride ai clienti. Schultz ha appena 30 anni e un robusto bagaglio professionale dietro le spalle: ha venduto casalinghi in giro per gli Stati Uniti, poi ha lavorato per la Xerox e per un gruppo svedese che commercializza il caffè. Tanta esperienza, dunque, e un mucchio di scarpe consumate per andare in giro a caccia di clienti. Ma quella volta l'ex ragazzo di Brooklyn assistette a qualcosa di diverso. Un episodio che gli avrebbe cambiato la vita.
Sembra che quel barista muovendosi con grazia e precisione - ricorda Schultz nelle sue interviste - danzasse macinando i chicchi di caffè, scaldando il latte, distribuendo le tazzine, preparando i cappuccini mentre chiacchierava con i clienti seduti al bancone. Tutti in quella simpatica caffetteria parevano conoscersi fra di loro ed io avevo la sensazione di assistere a un vero e proprio rito quotidiano. "Espresso?" mi domandò sorridendo.
Per il giovane americano si trattò di una rivelazione: "Pensai che quello non fosse il suo lavoro bensì la sua passione".
Il resto della storia è meno lineare di quanto non ci si possa aspettare. Intanto occorre sottolineare come Howard non sia stato il fondatore di STARBUCKS che, invece, fu lanciato nel 1971 a Seattle da due insegnanti e uno scrittore per vendere chicchi di caffè agli appassionati della bevanda. Quanto a Schultz s'imbattè in quel negozio una decina di anni dopo nel 1981. E divenne subito una questione di naso. A sedurlo, infatti, fu il profumo speziato del caffè, quell'armonia olfattiva dalle note complesse e penetranti che avrebbe modificato i suoi piani futuri. Ancora oggi il personale delle 17.000 caffetterie Starbucks ha il divieto di presentarsi al lavoro con un profumo troppo forte: guai ad interferire con l'aroma del caffè!
Nel giro di un anno Schultz diventò azionista di Starbucks. E così tornato da Milano, si presentò davanti ai suoi soci con una bella idea in tasca: trasformare la torrefazione in una catena di caffetteria all'italiana, dove fosse possibile sedersi per gustare in pace il proprio caffè. Possiamo immaginarci la sua delusione quando la proposta venne bocciata. Il motivo: il caffè, sostenevano gli azionisti, andava preparato e bevuto in casa; meglio restare concentrati sul proprio core business senza disperdere soldi ed energie in avventure da esiti improbabili. Oggi, alla luce del successo planetario di Starbucks, sembra impensabile, eppure le opinioni dei partner di Howard apparivano supportate dai dati. Negli Stati Uniti degli anni '80, infatti, il caffè era una bevanda di nicchia destinata a un gruppo composto da un manipolo di appassionati. Ancora nel 1989 si contavano in tutti gli USA appena 585 caffetterie (nel 2010 sarebbero diventate oltre 24.000) mentre sei anni prima nella sola Milano c'erano 1.500 bar. E allora?
Chiunque al posto di Schultz si sarebbe scoraggiato. Non il ragazzo di Brooklyn che avrebbe reagito rimboccandosi le maniche per fondare una nuova catena di caffetterie scegliendo il marchio "made in Italy": "Il Giornale". Passarono gli anni e nel 1987 i tre soci di Starbucks decisero di vendere. Howard si fece subito sotto e rilevò la società fondendola con "il giornale" e creando così la STARBUCKS CORPORATION. Ed è proprio a questo punto che il self made man americano avrebbe mostrato la pasta di cui era fatto. Un altro si sarebbe limitato a copiare pedissequamente il modello del bar all'italiana. Oppure si sarebbe concentrato sull'obiettivo di mantenere i prezzi bassi contenendo i costi. O ancora avrebbe scelto di standardizzare l'aspetto dei negozi per favorire la riconoscibilità della catena. Le scelte di Schultz invece furono di altro tenore. E puntarono sull'aspetto emozionale della faccenda, ovvero su come fosse possibile trasformare l'esperienza di bere un caffè in qualcosa di indimenticabile. La sfida per Howard era ed è "mettersi nei panni dei clienti, capire come vivono quotidianamente e creare per loro un fantastico ambiente". E difatti, fin dall'inizio della sua avventura imprenditoriale, egli decise di puntare sulla piacevolezza degli interni di Starbucks. L'importante per Schultz era che la gente oltre a entrare  nei suoi locali ci si trovasse bene. Che quindi desiderasse restarci a lungo e che poi volesse tornarci. Ancora oggi è così: puoi sederti, rimanere per ore e nessuno ti dirà nulla. Ecco perchè nel corso degli anni le caffetterie Starbucks si sono caratterizzate per la loro comodità, per la musica rilassante e la disponibilità del wifi. Ma anche per un personale molto gentile, addestrato a chiamare per nome i clienti abituali, contribuendo a creare  all'interno delle caffetterie quel clima intimo e famigliare che ne ha decretato il successo. 
Oggi ci sono città, come New York, dove si possono scorgere 3 o 4 Starbucks a poche decine di metri l'uno dall'altro. Quanto al look italiano si è progressivamente annacquato: diverso il prodotto (il latte utilizzato nei "beveroni" è sempre più pervasivo) differente il look dei locali che si sono progressivamente adattati ai gusti di una clientela sempre più eterogenea.
Molti appassionati di Starbucks in Italia si chiedono "Quando arriverà il marchio americano nel Belpaese?". E' lo stesso Howard Schultz che in un'intervista al Corriere della Sera dice "Il mio sogno, ora è di aprire  uno Starbucks spettacolare in Italia che sia la quintessenza della mia catena".
Non ci resta che aspettare...

tratto da "McItalia" di R.Fontanelli, G.Lonardi

2 commenti:

L'omino con la chitarra ha detto...

... molto molto interessante...

Anonimo ha detto...

Se ci fosse Starbucks qui in zona inizierei a fare colazione :)
Mi mancano i Caramel Macchiato e i Java Chip Frappuccino...
Fabio