Oggi con questo post voglio ricordare un grande campione che ci ha lasciato 6 anni fa, Marco pantani. Non voglio entrare come spesso si fa alle motivazioni, non mi interessa e non ne sono competente. Voglio lasciarvi un piccolo ricordo del Campione! Ciao Marco.
tratto dal sito: http://www.pantani.it/
"Non c'è supermarket dove si compra la grinta: o ce l'hai, o non ce l'hai. Puoi avere il tecnico migliore, lo stipendio più alto e tutti gli stimoli di questo mondo, ma quando sei al limite della fatica sono solo le tue doti ad aiutarti."
Marco Pantani nacque alle ore 11,45 del 13 gennaio 1970, all’Ospedale Bufalini di Cesena. Alla nascita il suo peso era di 3,75 kg .Nella casa in via Saffi a Cesenatico, di proprietà dei nonni Sotero e Delia (dove i Pantani rimasero fino al 1978), ad aspettare mamma Tonina ed il pargoletto, vi erano papà Paolo, la sorellina Manola (di 15 mesi) e naturalmente i nonni.
L’infanzia di Marco si consumò all’insegna della curiosità. Voleva sapere, sognava, ed aveva già definiti i contorni delle passioni. Imparò ad intingere la sua vivacità negli interessi più vari, spesso in alternativa alla scuola, dove non eccelleva, proprio perché non dedicava a libri e quaderni il meglio di se stesso. La pesca di nonno Sotero e la caccia di papà Paolo, finirono così per formare una fetta consistente del suo mondo. Anche il calcio divenne un epigone, cominciò a praticarlo, ma capì ben presto che non era lo sport adatto a lui.
Un giorno, osservando i coetanei del G.C. Fausto Coppi di Cesenatico, che si ritrovavano per gli allenamenti nel piazzale antistante l’appartamento che i Pantani avevano acquistato in via dei Mille, al vispo Marco venne la folgorazione: usare sportivamente quel mezzo, fino ad allora solo un tema di gioco. Si unì una prima volta a quei ragazzini, usando la bici da donna, vecchia e pesante, che mamma Tonina utilizzava per andare al lavoro. La sua risposta, pur nelle differenze di strumento e d’abitudine, fu ottima: non fu staccato, ed in salita finì per stare davanti. Aveva 11 anni.
Di lì partì il suo rapporto col ciclismo, ed il 22 aprile 1984, con la vittoria in solitudine a Case Castagnoli di Cesena, iniziò la sua Leggenda. Con gli anni, quella immediata e strabiliante attitudine alle salite divenne più marcata, ed i suoi successi più prestigiosi. Passavano le categorie, gli avversari divenivano sempre più competitivi, ma la superiorità di Marco sulle pendenze aumentava. Fra i professionisti il suo talento coinvolse l’intero immaginario collettivo. I suoi scatti, il suo essere solo sugli sfondi montani, lo innalzarono a monumento sportivo italiano ed internazionale. Intere genti riscoprirono il ciclismo grazie a lui e l’audience televisiva esplose. Nel frattempo, seppe superare incidenti di una gravità tale da scoraggiare chiunque e, tutto questo, aumentò la sua già enorme popolarità. Le vittorie al Giro d’Italia e al Tour de France nel 1998, lo collocarono nel ristrettissimo novero dei Leggendari del pedale e lo posero in cima al gradino più alto del podio degli sportivi italiani contemporanei.
Il suo essere uomo sensibile, schietto e con una visione assai più acuta rispetto ai colleghi, su realtà e problemi dello sport e non solo, da una parte lo posero ulteriormente a riferimento e, dall’altra, gli crearono l’invidia dell’ambiente, nonché un palpabile fastidio tendente all’avversione nelle autorità sportive italiane. In un clima avverso e con un controllo che lascia tuttora aperti pesanti interrogativi sulla sua regolarità, la mattina del 5 giugno 1999, in Madonna di Campiglio, a due tappe dalla fine di un Giro d’Italia che stava dominando, fu riscontrato a Marco un tasso di ematocrito superiore al 50%: ciò significava uno stop di 15 giorni per tutelare la sua salute e l’addio alla corsa.
Per Pantani, fu l’inizio di una lunga odissea di torture. Venne posto alla gogna da fette consistenti di quei media che prima lo osannavano. Solo pochi giorni dopo, la stessa Magistratura iniziò ad aprire su di lui fascicoli e ad indagarlo. Si aprirono così per Marco le porte dei Tribunali, anche in mancanza di reali presupposti di legge. Ogni qualvolta provava a rialzarsi, parimenti un’altra Procura iniziava ad indagarlo: alla fine furono ben sette!
Sapendosi vittima di voleri superiori e con un fattore scatenante dettato da un controllo che sapeva baro, si lasciò andare alla disperazione, ed incontrò la cocaina. In quel periodo, nonostante le traversie, le delusioni e l’alterazione che veniva dalla sostanza, incentivò altre voci del suo essere artista: la pittura innanzitutto. I suoi quadri, aggiungendo inaspettate e crescenti abilità nell’uso del pennello, assunsero i tratti di un messaggio ulteriore. Così come le sue ultime lettere, nonostante l’italiano stentato, seppero assumere sovente i connotati della medesima poesia che sapeva recitare in bicicletta.
Marco Pantani, il ragazzo che veniva dal mare per incantare l’agreste delle asperità imprimendo passioni e trasporti in chi lo vedeva, che sapeva cantare e dipingeva come un pittore naif, che nascondeva la tanta beneficenza, perché pubblicizzandola la vedeva come anticamera del business, trovò la morte il 14 febbraio 2004 in un residence di Rimini; anche qui, attraverso un epilogo ancor pieno di enigmi.
L’infanzia di Marco si consumò all’insegna della curiosità. Voleva sapere, sognava, ed aveva già definiti i contorni delle passioni. Imparò ad intingere la sua vivacità negli interessi più vari, spesso in alternativa alla scuola, dove non eccelleva, proprio perché non dedicava a libri e quaderni il meglio di se stesso. La pesca di nonno Sotero e la caccia di papà Paolo, finirono così per formare una fetta consistente del suo mondo. Anche il calcio divenne un epigone, cominciò a praticarlo, ma capì ben presto che non era lo sport adatto a lui.
Un giorno, osservando i coetanei del G.C. Fausto Coppi di Cesenatico, che si ritrovavano per gli allenamenti nel piazzale antistante l’appartamento che i Pantani avevano acquistato in via dei Mille, al vispo Marco venne la folgorazione: usare sportivamente quel mezzo, fino ad allora solo un tema di gioco. Si unì una prima volta a quei ragazzini, usando la bici da donna, vecchia e pesante, che mamma Tonina utilizzava per andare al lavoro. La sua risposta, pur nelle differenze di strumento e d’abitudine, fu ottima: non fu staccato, ed in salita finì per stare davanti. Aveva 11 anni.
Di lì partì il suo rapporto col ciclismo, ed il 22 aprile 1984, con la vittoria in solitudine a Case Castagnoli di Cesena, iniziò la sua Leggenda. Con gli anni, quella immediata e strabiliante attitudine alle salite divenne più marcata, ed i suoi successi più prestigiosi. Passavano le categorie, gli avversari divenivano sempre più competitivi, ma la superiorità di Marco sulle pendenze aumentava. Fra i professionisti il suo talento coinvolse l’intero immaginario collettivo. I suoi scatti, il suo essere solo sugli sfondi montani, lo innalzarono a monumento sportivo italiano ed internazionale. Intere genti riscoprirono il ciclismo grazie a lui e l’audience televisiva esplose. Nel frattempo, seppe superare incidenti di una gravità tale da scoraggiare chiunque e, tutto questo, aumentò la sua già enorme popolarità. Le vittorie al Giro d’Italia e al Tour de France nel 1998, lo collocarono nel ristrettissimo novero dei Leggendari del pedale e lo posero in cima al gradino più alto del podio degli sportivi italiani contemporanei.
Il suo essere uomo sensibile, schietto e con una visione assai più acuta rispetto ai colleghi, su realtà e problemi dello sport e non solo, da una parte lo posero ulteriormente a riferimento e, dall’altra, gli crearono l’invidia dell’ambiente, nonché un palpabile fastidio tendente all’avversione nelle autorità sportive italiane. In un clima avverso e con un controllo che lascia tuttora aperti pesanti interrogativi sulla sua regolarità, la mattina del 5 giugno 1999, in Madonna di Campiglio, a due tappe dalla fine di un Giro d’Italia che stava dominando, fu riscontrato a Marco un tasso di ematocrito superiore al 50%: ciò significava uno stop di 15 giorni per tutelare la sua salute e l’addio alla corsa.
Per Pantani, fu l’inizio di una lunga odissea di torture. Venne posto alla gogna da fette consistenti di quei media che prima lo osannavano. Solo pochi giorni dopo, la stessa Magistratura iniziò ad aprire su di lui fascicoli e ad indagarlo. Si aprirono così per Marco le porte dei Tribunali, anche in mancanza di reali presupposti di legge. Ogni qualvolta provava a rialzarsi, parimenti un’altra Procura iniziava ad indagarlo: alla fine furono ben sette!
Sapendosi vittima di voleri superiori e con un fattore scatenante dettato da un controllo che sapeva baro, si lasciò andare alla disperazione, ed incontrò la cocaina. In quel periodo, nonostante le traversie, le delusioni e l’alterazione che veniva dalla sostanza, incentivò altre voci del suo essere artista: la pittura innanzitutto. I suoi quadri, aggiungendo inaspettate e crescenti abilità nell’uso del pennello, assunsero i tratti di un messaggio ulteriore. Così come le sue ultime lettere, nonostante l’italiano stentato, seppero assumere sovente i connotati della medesima poesia che sapeva recitare in bicicletta.
Marco Pantani, il ragazzo che veniva dal mare per incantare l’agreste delle asperità imprimendo passioni e trasporti in chi lo vedeva, che sapeva cantare e dipingeva come un pittore naif, che nascondeva la tanta beneficenza, perché pubblicizzandola la vedeva come anticamera del business, trovò la morte il 14 febbraio 2004 in un residence di Rimini; anche qui, attraverso un epilogo ancor pieno di enigmi.
Nessun commento:
Posta un commento