sabato 27 aprile 2013

BOSTON...per non dimenticare

tratto dalla pagina FB dell'amico Marco Marelli: "...Alcuni di noi ad una maratona ci sono stati, altri hanno affrontato altre gare dure e romantiche. Ma, consentitemi di dire, la maratona è un po’ la mamma delle grandi manifestazioni sportive. E’ un gesto antico nato per celebrare una vittoria dando fondo a tutte le energie umanamente possibili. Nella nostra esistenza di sportivi abbiamo provato l’ebrezza della sfida, della gioia del traguardo, la delusione del fallimento della meta. Il giorno prima della strage di Boston mi trovavo a Vienna e ad aspettarmi al traguardo c’era il meglio della mia vita: la mia famiglia e la soddisfazione di avercela fatta ancora una volta. Avrebbe potuto trasformarsi nel peggio del peggio che ogni uomo possa immaginare, se avessimo scelto un altra meta. L’orgoglio di padre che attraversa il tappeto rosso degli ultimi 400 metri potrebbe trasformarsi in un attimo in un orrore inelaborabile o in un senso di colpa impossibile da dissolvere. Ero sulla strada viennese con gli amici della “Diabetic No LImits” con i quali abbiamo diviso le cose più importanti: la tensione pre-gara, la partenza, l’arrivo, lo scherzo, la delusione e la gioia, la birra dopo la gara e l’abbraccio di chi cammina e corre con noi. Ogn’uno di noi ha una buona ragione per mordere l’asfalto: un destino da correggere, un amore da gridare, una delusione da medicare, un sogno da inseguire; ma ogn’uno di noi ha voluto darsi la possibilità e la regola di farlo a spese di sudore, ore di allenamento, pratica assidua e misura quotidiana (e piacevolmente severa) della propria finitezza. Qualcuno non lo ha saputo fare questo passaggio nel simbolico, non ha saputo trasformare la sua sfida in un atto di partecipazione appassionata. Il nostro lavoro interiore quotidiano può essere azzerato dall’ignoranza dalla brutalità e dalla regressività di pochi inascoltati e inascoltabili. Noi abbiamo investito in un piccolo grande sogno e nell’onestà del prezzo pagato per correre una gara “olimpica”, pochi altri non sanno investire in nulla e quindi distruggono.  Che lo si vogliamo o no, noi atleti dilettanti siamo una bandiera, siamo il segno della ricerca della chiarezza e dell’etica del percorso; e siamo stai colpiti alle spalle, a tradimento, al cuore. Ma è per questo che continuiamo a correre, a nuotare, a pedalare a credere in un mondo in cui occorra perseguire la gioiosa fatica per vincere, senza scorciatoie, senza scorrettezze. Non smettiamo di crederci e gareggiamo per onorare il bambino che correva, a Boston, incontro a suo padre e i ragazzi venuti all’arrivo per i loro compagni di scuola, per tutti coloro che corrono...il rischio di vivere il quotidiano (mail di Michele compagno di viaggio alla maratona di Vienna)


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