Per me gli autori ed i romanzi si dividono in due categorie: le scoperte e le conferme (poche volte si trasformano in delusioni). Ed è proprio quello che è accaduto con l'autrice Donatella Di Pietrantonio che ho avuto il piacere di scoprire e di leggere nel 2011 in occasione del suo primo romanzo "Mia madre è un fiume", conferma avvenuta nel 2017 quando ho letto con grande apprezzamento il suo ultimo romanzo "L'Arminuta".
L'autrice, nel frattempo conosciuta ed apprezzata dalla critica letteraria italiana, si contraddistingue per il suo stile a volte "ruvido ed aspro" che serve per raccontare di una storia ambientata tanti anni fa (non è indicato il periodo, ma da alcuni riferimenti narrati dovrebbe essere la fine degli anni settanta), nell'entroterra abruzzese. Durante la narrazione della storia si trovano spesso espressioni dialettali che vogliono rimarcare un senso di appartenenza regionale; in un mio commento al primo romanzo avevo quasi criticato questo modo di scrivere in quanto ritenevo certe espressioni di difficile comprensione per un lettore di altre regioni (avevo suggerito di inserire una nota con traduzione) invece leggendo altri libri mi sono reso conto di quanto alcune espressioni rafforzino il discorso o la storia stessa.
Una storia che letta ai giorni nostri può lasciarci perplessi ed esterrefatti, ma se chiudiamo gli occhi, ed immaginiamo certe realtà del ns Paese di qualche decennio fa, ci è facile riscontrare come la storia della protagonista può essere la storia di tanti ragazzi e ragazze vissute in quell'epoca; magari può essere la storia di qualche nostro nonno/a...
E' la storia di quattro donne, due hanno un nome e viene ripetuto spesso nel libro, delle altre due non viene indicato il nome di battesimo, quasi a non volerle identificare con un "nome proprio". C'è "l'arminuta" la ragazza che torna nella sua casa natale che è anche la narratrice di tutta la storia, c'è la "mamma naturale" una figura austera e distante che ha come priorità quella di nutrire la famiglia assicurando un pasto ed un tetto sopra la testa e solo successivamente il compito di crescere i figli, c'è la sorella Adriana spessissimo nominata e con la quale si creerà un bellissimo rapporto ed infine c'è la zia-mamma Adalgisa, una figura controversa ma sempre presente nella vita de "l'arminuta".
Mentre leggevo il libro ed entravo sempre più nella storia, non mi sentivo un lettore ma uno "spettatore" che "guarda" ciò che accade all'interno di quella famiglia, di quella casa. Una presenza discreta. Una volta terminato il libro però ti rendi conto che le pagine sono terminate ma la storia delle quattro donne no, allora non ti resta altro che "interrompere l'osservazione", chiudere il libro e lasciare che la storia de "l'arminuta" vada avanti su pagine della storia non ancora scritte… Buona lettura e complimenti all'autrice.
L'ARMINUTA (Einaudi) - «Ero l'Arminuta, la ritornata. Parlavo un'altra lingua e non sapevo piú a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza». – Ma la tua mamma qual è? – mi ha domandato scoraggiata. – Ne ho due. Una è tua madre. Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L'Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche piú care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.
Donatella Di Pietrantonio vive a Penne, in Abruzzo, dove esercita la professione di dentista pediatrico. Ha esordito con il romanzo Mia madre è un fiume (Elliot 2011, Premio Tropea). Con Bella mia (Elliot 2014) ha partecipato al Premio Strega. Per Einaudi ha pubblicato L'Arminuta (2017).
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