La scoperta di questo libro è avvenuta in modo casuale (come alcune volte mi capita). Ero alla ricerca di libri che parlavano di disabili e mondo del lavoro, una tematica difficile e scomoda da affrontare (ma di questo scriverò in seguito). La venditrice della libreria però mi consiglia questo titolo "E li chiamano disabili" di Candido Cannavò. Autore che conoscevo come giornalista. Aspetto qualche giorno perchè il volume non era disponibile.
La lettura è stata da subito coinvolgente. La prefazione è stata curata con grande sensibilità da Walter Veltroni, della quale riporto qualche passaggio: "...Questo viaggio è una storia nobile. Nobile perchè non solo nasce da una consapevolezza dolorosa, ma perchè questa consapevolezza è vissuta attraverso un prezioso ribaltamento, quello per cui l'esplorazione del mondo dei disabili non deve essere vissuta attraverso lo stereotipo di un viaggio nel dolore e nell'angoscia, ma che questo andare può trasformarsi in un'esplorazione alla ricerca della bellezza e della forza vitale espresse dal mondo dei diversamente abili...Il dovere di tutti noi è quello di farci carico della loro stessa volontà, e di assumerla socialmente, politicamente, eliminando qualsiasi ostacolo psicologico, giuridico, fisico che tenda a isolarla, abbattendo il pregiudizio, la negligenza che nasconde, che umilia e oltraggia...La forza etica delle storie raccontate da Cannavò sta proprio nella considerazione della diversità fatta senza pietismo, affrontata con quella franchezza e quella civiltà che rendono intenso e profondo il mestiere di scrivere...Perchè i personaggi, le storie, le parole di questo libro ci impongono il rispetto e l'attenzione verso chi, da una posizione differente e svantaggiata, ci dimostra di essere in grado di insegnarci volontà e forza vitale, quella forza che è in tutto e per tutto una risorsa preziosa per la nostra società, per la nostra consapevolezza di esseri umani".
Sedici storie incredibili, di persone che fanno cose eccezionali, con l'aiuto di chi ha saputo amarli, comprenderli ed aiutarli a dare il meglio a trarre da loro stessi quelle potenzialità che erano sopite ma presenti.
Candido Cannavò nelle prime pagine precisa: "Mi viene il sospetto di aver forzato l'impegno, di aver cercato tra i disabili i campioni capaci di un'impresa provocatoria. Non mi sento di escludere il peccato. Di certo, il pensiero si rivolge anche alla moltitudine che, lontana da ogni clamore, realizza l'impresa più grande: quella di vivere dignitosamente, giorno dopo giorno". Mi sento di dire che queste storie vanno raccontate, perché sono un aiuto a chi si trova a vivere la disabilità, ma anche a chi si trova ad essere genitore, fratello, amico, insegnante, di una persona con delle difficoltà, vale la regola che dovrebbe valere per tutti. Aiutarli ad avere fiducia nelle proprie capacità, non lasciarli soli e non restare soli.Perché spesso le difficoltà che le famiglie vivono tendono a far sì che ci si isoli, che si cada nell'errore di convincersi che gli altri non capiscono, non comprendono e di finire per non tentare nemmeno di spiegare loro.
Non è facile vivere la disabilità in prima persona e non è facile stare vicino a chi vive questa condizione, ma è un'esperienza che cambia lo sguardo sul mondo e ci rende più "persone", quindi è doveroso che si parli, e si faccia lo sforzo di entrare in contatto con questo mondo, perché potrà solo venirne qualcosa di buono per gli uni e per gli altri.
"Uomini e donne che non hanno alcun bisogno di pietismo e compassione, ma che chiedono piuttosto l'accoglienza e l'attenzione dei conformisti della normalità".
CANDIDO CANNAVO' - (1930-2009) è stato direttore della "Gazzetta dello Sport" dal 1983 al 2002. Per Rizzoli ha pubblicato: "Una vita in rosa", "Libertà tra le sbarre"