domenica 25 aprile 2010

"Chi ha ucciso il cambiamento?" di Ken Blanchard


Oggi, ho il piacere di segnalae questo libro bello ed originale. L'autore principale, Ken Blanchard, sicuramente non ha bisogno di ulteriori presentazioni e i suoi libri in questi anni, mi hanno sempre lasciato qualcosa di speciale, una frase, un pensiero, una riflessione che mi hanno aiutato sia dal punto di vista professionale che nei rapporti con gli altri. Buona lettura

CHI HA UCCISO IL CAMBIAMENTO? Lo strano caso della leadership scomparsa
Ogni giorno in vari punti del globo vengono lasciati programmi di innovazione (spesso complessi e costosi) allo scopo di migliorare lo status quo dell'una o dell'altra azienda. Il 70 per cento di queste iniziative fallisce; alcune muoiono all'istante, altre agonizzano a lungo, privando l'organizzazione di di risorse, energie e vitalità. Perchè? Dove sta l'errore?CHI HA UCCISO IL CAMBIAMENTO? - E' ciò che scopriremo in questo giallo. Protagonista della vicenda è l'agente Mike McNally, un detective alla Colombo, con l'inseparabile sigaro, incaricato di condurre le indagini sull'assassinio di un ennesimo Cambiamento. Uno dopo l'altro passano sotto il torchio del suo interrogatorio i tredici principali sospetti, individui alquanto discutibili che incarnano vizi e difetti di una gestione aziendale in declino: Victoria Visione, una leader miope perennemente intenta a pulirsi gli occhiali; il manager Ernest Urgenza, ritardatario cronico; l'executive Clair Comunicazione, affetta da una laringite che ne rende indecifrabili i messaggi, e altri loschi personaggi. L'agente McNally risolve abilmente il caso, offrendo una soluzione in grado di fornire molteplici spunti a chiunque voglia diventare un promotore del cambiamento nella propria organizzazione. Al termine del libro, una guida chiara e coincisa spiega come applicare nel mondo reale gli utili insegnamenti tratti dall'invenzione narrativa degli autori. La completano brevi questionari per valutare lo stato di salute delle iniziative di cambiamento nella propria azienda e confrontarlo con le best practice del caso.
L'autore - KEN BLANCHARD - è autore di bestseller internazionali e oratore motivazionale, nonchè Chief Spiritual Officer di Ken Blanchard Companies, gruppo di rilievo internazionale che si occupa di formazione e sviluppo. I suoi volumi sono stati venduti in oltre 18 milioni di copie e tradotti in 30 lingue. Vive a San Diego, in California. Per S&K è coautore di molti libri di successo, fra cui quelli della serie "L'One Minute Manager" -

"Il cambiamento può avere successo soltanto se i vari "personaggi" dell'organizzazione vi contribuiscono ciascuno con le proprie doti e coinvolgono costantemente gli altri nell'avviare, attuare e sostenere l'iniziativa".

giovedì 22 aprile 2010

Giornata mondiale della Terra - 22 aprile 2010


"La natura ci ha dato la vita come un luogo nel quale dimorare, non come qualcosa da possedere".

Cicerone (De Senectute 44 a.C.)

Iron Man


"I limiti sono fatti per essere superati!"

mercoledì 21 aprile 2010

"La leggenda di Bagger Vance"



TRAMA - L'incontro tra Redford e Damon fu una questione di talenti. Redford è sempre stato innamorato del talento, della dotazione iniziale, della vocazione che guardava all'eroismo. Damon è stato il fenomeno delle carte ne Il Giocatore, il genio della matematica in Will Hunting e il camaleonte capace di imitare tutti nel Talento di Mr. Ripley. In Bagger Vance - da un romanzo di Steven Pressfield - è Junno, un giocatore di golf, che partito per la guerra, tornato senza speranze, si ubriaca per dieci anni (siamo alla fine degli anni venti) fino a quando qualcuno si ricorda di lui. Viene organizzato infatti l'incontro fra i due più prestigiosi campioni d'America, ma occorre anche uno del luogo e qualcuno si ricorda appunto di Junno. L'uomo accetta la sfida e vince. La grande partita è tutta una metafora: la voglia di lottare anche quando tutto sembra perduto, la solidarietà, l'onestà e l'eroismo. Questo è Redford, l'uomo dei principi: non fa molti film, ma possiede una magnifica misura di contenuti e di rappresentazione. Non si vergogna della favola e del sentimento. Il suo cinema ci è indispensabile.

"...C'è un colpo perfetto che cerca di raggiungere ciascuno di noi non dobbiamo fare altro che toglierci dalla sua traiettoria lasciare che lui scelga noi... guardalo è nel Campo. Vedi quella bandiera? È un bel drago da sconfiggere ma se lo guardi con occhi gentili, vedrai il punto in cui le maree e le stagioni e il roteare della terra tutto si incontra e tutto ciò che è diventa uno, tu devi cercare quel posto con il tuo cuore. Cercalo con le mani non pensarci troppo sentilo le tue mani sono più saggie di quanto sarà mai la tua testa ma non ti ci posso portare io spero solo di poterti aiutare a trovare la via. Ci sei solo tu quella palla quella bandiera e tutto ciò che sei..." (Bagger Vance)

domenica 18 aprile 2010

Le Riserve



TRAMA - Nel 1987 i giocatori di football americano scesero in sciopero. Per evitare disastri a sponsor e società, i presidenti assunsero giocatori non professionisti. L'allenatore McGinty (Hackman) mette insieme una squadra di strani personaggi, fra cui Shane Falco (Reeves), l'unico (ex) professionista. Le "riserve" sapranno comunque farsi onore. Lontano dalla grinta di Stone nel (quasi) omologo Ogni maledetta domenica, è solo un compito discretamente eseguito.

"La grandezza, per quanto breve, un uomo la porta sempre con sé. (coach)"


"Ora dovrei dire qualcosa di epico ma non mi viene in mente niente: "Le ferite guariscono, le donne amano le cicatrici, la gloria è per sempre. (Falco)"

sabato 17 aprile 2010

Jerry Maguire



Rampante procuratore sportivo, Maguire (Cruise), colto da un raptus etico di cattiva coscienza scopre che il denaro non è tutto nella vita e ne fa una relazione per i colleghi e i superiori. Lo licenziano. Riparte da zero, con un solo cliente, un giocatore nero di football (Gooding) seguito da una ragioniera, giovane vedova con figlioletto a carico. Torna al successo e sposa la vedovella. La prolissa sceneggiatura è un capolavoro di romanticismo ruffianesco, politicamente corretto nei minimi particolari. Con una recitazione sciamanica ridotta alla dentatura, Cruise puntava all'Oscar, ma nell'anno di Il paziente inglese al suo posto fu premiato come non protagonista C. Gooding Jr.

"Ricordai perfino le parole del più grande procuratore sportivo, il mio mentore, il grande e compianto Dicky Fox che diceva:
Il segreto di questo mestiere sono i rapporti, i rapporti personali. "

venerdì 16 aprile 2010

Robots



"Lascia stare: se non ci provi, non sbagli. È la mia filosofia da sempre."

ROBOTS (tratto da: http://www.mymovies.it) L'attesa per Robots, specie dopo la pioggia di dollari caduta in estate (americana) sulle ultime produzioni dei big e anche considerando la non proprio eccelsa performance qualitativa dell'opaco Shark Tale, meramente citazionista e privo della benché minima originalità, era piuttosto alta. Fortunatamente la verve che aveva caratterizzato L'era glaciale (peraltro un po' sopravvalutato) è rimasta intatta in questo Robots, che suscita in più di un'occasione momenti di grande ilarità. Nonostante il plot sia assolutamente in linea con i topos classici del genere, la peculiarità del soggetto scelto, permette a Wedge e Saldanha di giocare sapientemente con i cliché del genere e offrire al pubblico una pletora di situazioni che vanno dal paradossale all'entusiasmante. Un grande pregio del film è di non puntare esclusivamente su riferimenti metacinematografici, ma anche e soprattutto su elementi ludici o ricordi che dovrebbero fare facilmente breccia nella memoria dei trentenni (l'allegro chirurgo, le costruzioni, i "mostri" coi quali si era soliti giocare ). Peccato che anche Robots scada nell'umorismo scatologico e si chiuda con l'oramai abusatissimo siparietto musicale con canti e balli di tutto il gruppo di personaggi festanti che, visto per la prima volta in Shrek, ha oggi davvero fatto il suo tempo. Tecnicamente sontuoso, con dettagli curati fino all'inverosimile che si fanno apprezzare soprattutto nelle scene d'azione, ben dirette, coreografate e montate, Robots offre una carrellata di personaggi simpatici e alla mano, del tutto privi di sostanza drammaturgica, ma ricchi di umanità e ben pennellati da una sceneggiatura brillante che regala a tutti il giusto spazio, garantendo al film quella coralità che ha reso valide pellicole recenti come Shrek 2 e Gli Incredibili.

giovedì 15 aprile 2010

Raimondo Vianello


"Se mi guardo indietro non ho pentimenti. Dovessi ricominciare, farei esattamente tutto quello che ho fatto. Tutto. Mi risposerei anche. Con un'altra, naturalmente."
Raimondo Vianello

mercoledì 14 aprile 2010

Pianeta Cina - 3°parte "Costo del lavoro"


Con questo post voglio iniziare ad analizzare quello che è il costo del lavoro in Cina e perchè assistiamo ormai da anni ad un esodo verso l'estremo oriente ma anche verso i paesi in via di sviluppo. Devo dire che su internet vi sono diverse cifre che girano su questo argomento. Ovviamente vi sono diverse dinamiche che contribuiscono a questa cifra: politica della Cina o delle altre nazioni, politica economica dell'azienda che intende produrre in quei paesi, altre situazioni aziendali. Nel web ho trovato questo articolo molto interessante che fa comunque un paragone sia con il ns costo del lavoro ma soprattutto li compara con gli altri Stati. buona lettura.


di Marco Panara - Una multinazionale europea (non italiana) nel settore meccanico, che ha stabilimenti in 23 paesi, ha messo a confronto il salario orario che paga ai suoi dipendenti. Le differenze sono impressionanti: si va da 28,69 euro l' ora in Svezia fino a 0,49euro l' ora in India. Quella multinazionale ha stabilimenti anche in Italia dove, per un' ora di lavoro, spende 18,03 euro. Per rendere più chiaro il confronto abbiamo preso la remunerazione in Italia (18,03 euro = 100) e misurato su questa base la remunerazione di un' ora di lavoro negli altri paesi.
Anche tenendo conto che non è un dato generale ma una esperienza specifica e concreta, quello che ne emerge dovrebbe farci riflettere molto. Per un' ora di lavoro in Germania quella multinazionale spende una volta e mezzo rispetto a quanto spendein Italia, il trenta per cento in più lo spende negli Stati Uniti, il 15 per cento in più in Francia. Solo l' 8 per cento in meno lo spende in Spagna e il 10 per cento in meno in Corea.
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COSTO ORARIO DEL LAVORO
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Paese Euro all'ora Indice (Italia = 100)
Svezia 28,69 159,12
Germania 27,14 150,53
Giappone 25,42 140,99
Stati Uniti 24,29 134,72
Francia 20,88 115,81
Belgio 19,71 109,32
Italia 18,03 100,00
Spagna 16,72 92,73
Corea 16,39 90,90
Portogallo 6,01 33,33
Turchia 5,23 29,01
Repubblica Ceca 4,54 25,18
Ungheria 4,33 24,02
Argentina 4,12 22,85
Brasile 3,43 19,02
Messico 2,97 16,47
Polonia 2,55 14,14
Sud Africa 2,25 12,48
Marocco 2,10 11,65
Cina 1,98 10,98
Romania 1,74 9,65
Tunisia 1,52 8,43
India 0,49 2,72
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Se si passa agli altri il confronto è assolutamente impari: rispetto all' Italia un' ora di lavoro in Portogallo costa un terzo, un po' meno costa in Turchia, un quarto nella Repubblica Ceca e in Ungheria, per scendere fino a un decimo in Cina e Romania e un quarantesimo in India. Non tutti gli stabilimenti producono le stesse cose e richiedono lo stesso livello di formazione, ma non sempre e non necessariamente il livello di sofisticazione delle produzioni corrisponde al livello dei salari.

Non ci interessa qui comprendere cosa aspetta la multinazionale in questione a spostare tutte le sue attività in India, avrà per fortuna le sue ragioni. Quello che ci interessa è capire cosa ci dice questo confronto sull' Italia e sui suoi destini.

La prima cosa che ci dice è che il costo del lavoro in Italia è tra i più bassi nel gruppo dei paesi industrializzati. Tra quelli censiti in questa occasione solo la Spagna e la Corea sono sotto di noi e neppure di molto, mentre la maggioranza ha un costo del lavoro più alto, e questo non sembra essere un vincolo determinante per esempio alla capacità di mantenere o accrescere la propria quota del commercio mondiale. Il fatto che l' Italia perda posizioni nel commercio mondiale mentre la Germania o il Giappone, che hanno un costo del lavoro sostanzialmente più alto, invece no, ci fa capire con chiarezza che non è il costo del lavoro la chiave della nostra perdita di competitività né per un suo eventuale recupero.

Abbiamo impegnato anni a discutere e scontrarci su questo punto, ma basta guardare i dati della tabella che pubblichiamo per capire che tutto quel tempo e quell' impegno sono stati spesi male: l'abisso che ci separa non solo dall' India e dalla Cina, ma anchedalla Repubblica Ceca e dall' Ungheria è tale che a meno di un impoverimento generalizzato e rivoluzionario del nostro paese èimpensabile e non auspicabile colmare.

Il problema però esiste, perché la perdita di competitività dell' Italia non dipende dalfatto che lavoriamo poco, poiché anzi lavoriamo più ore della media dell' Europa a 15, dipende piuttosto dal fatto che ciascuna ora di lavoro non sempre produce tutto il valore che sarebbe necessario per consentirci di essere sicuri del nostro presente eottimisti sul nostro futuro.

Ci sono molti modi per capire meglio la natura di questo problema. Andrew Warner, senior economist alla Millennium Challenge Corporation, ha fatto uno studio accuratosulla produttività del lavoro nei vari paesi, e uno dei parametri che adotta è la crescita del pil per ora lavorata. Ebbene, tra il 1995 e il 2000 la crescita del pil per ora lavorata è stata del 9,20 per cento in Irlanda, paese leader di questa classifica, tra il 2,2 e il 2,6 per cento nel Regno Unito, in Germania, in Francia e negli Stati Uniti, solo dell' 1,73 per cento in Italia, fanalino di coda tra i 18 paesi presi in considerazione.

In quello stesso studio Warner individua quattro barriere alla crescita della produttività oraria e mette a confronto su di esse i vari paesi. Le barriere sono: la formazione, l' organizzazione del lavoro, le normative e la qualità delle infrastrutture. In tutti e quattro la posizione dell' Italia è peggiore di quella degli altri grandi paesi industrializzati e, nel caso delle infrastrutture, è tra le peggiori in assoluto. Le conclusioni alle quali questa analisi ci porta è che puntare sulla compressione del costo del lavoro perrilanciare la competitività dell' Italia non solo non è realistico ma rischia di essere un grave errore strategico. Il che non vuol dire che il costo del lavoro è una variabile indipendente, ma che in questo momento della storia e dell' economia mondiale, quellosu cui si deve incidere assai più che il costo è invece il contenuto del lavoro.

Bisogna aumentare da una parte la produttività e dall' altra il valore delle cose prodotte, in maniera tale da remunerare adeguatamente il lavoro e il capitale e consentire di porre le premesse per un aumento costante ed economicamente sostenibile dei redditi e del benessere futuro. E' una questione che riguarda tutti, la politica e le istituzioni, la pubblica amministrazione, le imprese e i sindacati. La scelta èt ra puntare sulla crescita della produttività e del valore delle produzioni, oppure come è accaduto negli ultimi anni limitarsi a mantenere il modello produttivo e competitivo esistente cercando finché possibile di tenerlo in piedi comprimendo i costi.

Ovviamente non ci possiamo permettere di buttare via nulla, né sarebbe giusto farlo, quindi lo sforzo che le imprese stanno facendo per restare a galla è legittimo e anche lodevole. Se però dopo la resistenza non si passa alla crescita, per molti rischia di essere solo un prolungamento dell' agonia.
Ma cosa vuol dire scegliere di puntare sulla crescita della produttività e del valore delle produzioni? Vuol dire cambiare mentalità. Vuol dire concentrarsi sui problemi veri e impegnarsi per rimuovere le barriere all' aumento della produttività, investire in tecnologia, in formazione, in qualità manageriale. Vuol dire aumentare la flessibilità del lavoro, che serve come il pane, ma che è utile al sistema se rende più efficiente l'organizzazione del lavoro, e diventa invece negativa se rende il lavoro precario al solo scopo di abbassarne il costo. Vuol dire esaminare ogni legge, già in vigore o nuova, valutandone la comprensibilità, la semplicità di applicazione, l' effetto sulla modernizzazione del sistema. Vuol dire rischiare uscendo dai settori tradizionali non aspettandosi di raccogliere già domani. Vuol dire capire che i problemi dell'Italia di oggi non sono quelli di vent' anni fa e che gli strumenti di vent' anni fa non sono più quelli giusti perrisolverli.

Questo articolo è stato pubblicato su Affari & Finanza de La Repubblica

martedì 13 aprile 2010

Pianeta Cina - 2° parte "Giustizia e diritti umani"



Giustizia e diritti umani
La Repubblica Popolare Cinese, nonostante le riforme e la conversione al libero mercato degli ultimi 15 anni, non ha introdotto alcuna libertà dal punto di vista politico. Essa è considerata responsabile di crimini contro i suoi stessi cittadini. La situazione dei diritti umani nella Repubblica Popolare Cinese continua a subire numerose critiche da parte della maggior parte delle associazioni internazionali che si occupano di diritti umani che riportano numerose testimonianze di abusi ben documentati in violazione delle norme internazionali. Da un lato il governo ammette le deficienze, dall'altro parla della situazione dei diritti umani come la migliore di tutti i tempi.

Il sistema legale è stato spesso criticato come arbitrario, corrotto e incapace di fornire la salvaguarda delle libertà e dei diritti fondamentali. Nelle carceri laogai ("riforma attraverso il lavoro"), secondo molte fonti, vigerebbero condizioni di vita disumane al limite dello schiavismo e sarebbero applicati sistematicamente tortura e tecniche di lavaggio del cervello.
La Cina è il paese al mondo in cui si eseguono più condanne a morte, sebbene le autorità si rifiutino di rendere pubblica alcuna statistica ufficiale. Riguardo le condanne eseguite nel 2007,
Amnesty International ha raccolto notizie su 470 esecuzioni, ma ne stima un totale di almeno 6000 nell'arco dell'anno[19]. Nessuno tocchi Caino stima una cifra simile di almeno 5000 esecuzioni nello stesso periodo, con un'incidenza dell'85,4% sul totale mondiale[20]. Entrambe le associazioni riconoscono però che c'è stata una diminuzione nel numero delle esecuzioni, dopo che è stata reintrodotta la norma per cui tutte le condanne a morte devono essere confermate dalla Corte suprema del popolo: ciò consente di attutire la piaga delle condanne a morte comminate dopo processi sommari e iniqui. Alcune stime, tuttavia, sono ben più pessimistiche: un esponente politico cinese, Chen Zhonglin, delegato della municipalità di Chongqing, giurista e preside della facoltà di legge dell'Università sudorientale cinese, in un'intervista al China Youth Daily ha parlato di 10.000 esecuzioni l’anno. In quell'occasione Chen dichiarava la sua intenzione di lavorare per migliorare la situazione dei diritti umani in Cina.

Secondo quanto rivelato dal viceministro della salute Huang Jiefu nel corso del
2005, è dai condannati a morte che proviene la maggioranza degli organi espiantati in Cina[21], spesso senza che il donatore abbia dato il suo consenso, sebbene la legge lo esiga[22]. L'espianto non consensuale pare che venga praticato sistematicamente ai condannati appartenenti al movimento spirituale del Falun Gong[23], perseguitato dal regime di Pechino. Questo fenomeno, che ha determinato di fatto un traffico illegale di organi umani, ha generato il sospetto che le condanne vengano eseguite quando c'è richiesta di organi compatibili con il condannato[24].
Il governo cinese assicura di dispensare la pena capitale solo in caso di gravi reati (omicidio, strage, terrorismo…), escludendo reati politici o di qualsiasi altro genere, e ha pubblicato sul web
[25] una copia del proprio codice penale che conferma questa versione. Tuttavia Amnesty International afferma che in Cina sono 68 i crimini punibili con la pena di morte, inclusi reati non violenti come l'evasione fiscale, l'appropriazione indebita, l'incasso di tangenti e alcuni reati connessi al traffico di droga[26].
Il governo cinese si è frequentemente macchiato di violazioni dei diritti umani nei confronti di
minoranze etniche e religiose e dissidenti politici: l’esempio più celebre, per l’opera di sensibilizzazione mondiale in cui si è prodigato il Dalai Lama, è l’occupazione armata del suolo tibetano, oltre che il sopracitato esempio della setta del Falun Gong. Si pensa da più parti, inoltre, che in Cina vengano applicate gravi limitazioni alla libertà di informazione, alla libertà religiosa, quella di parola e persino alla libertà di movimento dei cittadini. Non esistono sindacati indipendenti ed è permesso solo il sindacato statale. Lo stato, almeno sulla carta, assicura i diritti dei lavoratori; ma la quantità annua di morti sul lavoro ha destato molte preoccupazioni e parecchie critiche e denunce non solo da organizzazioni umanitarie, ma anche dall’interno degli stessi organi di governo cinesi[27].
In vista delle
Olimpiadi di Pechino 2008 il CIO espresse forti perplessità sui ritmi di lavoro con cui gli impianti sportivi venivano costruiti. Sempre in vista delle Olimpiadi la comunità internazionale richiese al governo cinese "un’ulteriore apertura" sul piano delle libertà politiche.
L'evento più conosciuto in occidente delle azioni di forza perpetrate dalla Cina nei confronti dei dissidenti politici è rappresentato dalla repressione della
Protesta di piazza Tiananmen il 4 giugno 1989, in cui perse la vita un numero imprecisato di manifestanti e soldati (200 secondo il governo cinese, 600-800 secondo la CIA, tra 2 e 7 mila secondo alcuni dissidenti).

Un'altra accusa di lesione dei diritti umani rivolta al governo cinese è la pianificazione famigliare obbligatoria, voluta dallo stesso
Mao Zedong e tuttora impiegata. La legge che la regola, in vigore dal 1979, è la ‘’“Legge eugenetica e protezione della salute”’’, altrimenti detta ‘’Legge del figlio minore”. La commissione governativa responsabile del progetto è la NPFPC[28], ovvero ‘’National Population and Family Planning Commission’’. Secondo le stesse fonti governative, grazie all’introduzione di questa pratica le nascite evitate nella Repubblica Popolare Cinese sono state 300 milioni. La legge prevede ufficialmente un figlio nelle zone urbane, e due in quelle rurali. I trasgressori potranno portare a termine un’eventuale gravidanza dietro pagamento di un’ingente multa, oppure saranno obbligati a rinunciare al figlio.

Le accuse verso questo progetto sono molto pesanti:
- la lesione della
libertà dei genitori [29];
- l’uso massiccio e obbligatorio dell’
aborto, per di più in modi particolarmente dolorosi (soprattutto in passato);
- le dure repressioni contro i cittadini che, specialmente in zone rurali o povere, opponevano resistenza al progetto
[10];
- la violenza verso le donne, visti i casi certificati di
sterilizzazioni forzate, operate in molti casi ai danni delle colpevoli [30];
- discriminazione verso le donne; in moltissime famiglie (dato anche il divieto di diagnosticare il sesso del nascituro), specialmente nelle zone rurali, le neonate sarebbero uccise, oppure non registrate all’anagrafe (costringendole alla totale assenza di diritti politici e alla rinuncia di istruzione e di qualunque assistenza sanitaria)
[31];
- discriminazioni sociali, perché il sistema fa in modo che i più facoltosi possano “pagarsi” il diritto al secondo (o al terzo) figlio pagando la sanzione corrispondente (in genere di 50.000
yuan, circa 6.200 dollari, 3.980 euro).

Questo genere di politica è in Cina un punto di frizione molto critico nei rapporti fra governo e opinione pubblica; il 68 % dei cinesi, in un sondaggio del
China Youth Daily (un giornale del partito), si è dichiarato contrario alla pratica di “comprarsi” il diritto di un altro figlio. Pareri sfavorevoli sono stati espressi anche dall’Accademia Cinese delle Scienze [32]. Zhang Weiging, direttore del NPFPC, assicura comunque che la normativa prevede molte eccezioni, e che si sia molto ammorbidita dai primi anni di applicazioni[33]. Il governo assicura inoltre di aver preso seri provvedimenti contro i membri del Partito che abbiano più figli di quanti ne preveda la normativa[34].

domenica 11 aprile 2010

Pianeta Cina - 1°parte


E' da un pò che penso di affrontare questo argomento (e chi mi conosce magari certe riflessioni me le ha sentite dire), ma non sapevo proprio come iniziare, visto che il tema è estremamente complesso, vasto e delicato, in quanto vi sono delle dinamiche tecniche difficili da capire e spiegare. Questo post sarà il primo di una serie che ho deciso di chiamare "Pianeta Cina" al fine d capire alcune dinamiche che ormai si sono inserite nel nostro tessuto sociale. Ma quantone sappiamo veramente della Cina? Cosa c'è dietro la produzione di una semplice t-shirt o un paio di pantaloni?

Voglio fare però una piccola premessa:
- ritengo che TUTTI gli esseri umani, senza divisioni di razza religione, Paese di appartenenza debbano avere gli stessi diritti umanitari (universalmente riconosciuti) e trattati nel medesimo modo in tutto il mondo
- che la schiavitù vada condannata e combattuta in tutte le forme in cui si manifesta, vedi la schiavitù moderna basata sulla produzione di prodotti in Stati poveri
- che dobbiamo essere orgogliosi del nostro made in Italy, valorizzare la produzione in Italia; ma questa spinta deve partire dagli imprenditori italiani supportati dallo Stato Italiano
- che questi prodotti siano venduti ad un prezzo equo senza speculazioni (come invece avviene adesso nonostante la produzione nei paesi asiatici)

Bene, dopo questa doverosa premessa, vi sottopongo e spero sia di vostro interesse, la lettura dell'articolo sottostante.

tratto da "Style magazine" di aprile 2010 - appunti di economia di Dario Di Vico

QUEI CINESI POLITICAMENTE SCORRETTI - E' forse giunto il momento di operare una riflessione pacata sui nostri rapporti economici con il pianeta Cina. La situazione è preoccupante. E' sempre più chiaro che la fascia bassa (ma larga) dell'industria manifatturiera italiana patisce la concorrenza dei prodotti cinesi, in virtù di alcuni obiettivi vantaggi di sistema che gli asiatici hanno (costo e flessibilità della manodopera, dimensioni del mercato interno) e di alcune palesi irregolarità (condizioni di lavoro ai limiti dello schiavismo, clonazione di prodotti e marchi, uso di sostanze fuori dalle regole). Questo modello di business fortemente aggressivo sui prezzi mette fuori mercato le nostre piccole imprese e l'artigianato in molti settori, e i produttori italiani alle prese con una concorrenza asimmetrica hanno la netta sensazione di essere lasciati completamente soli. Gli imprenditori, sicuramente quelli che operano nel tessile abbigliamento nell'arredamento e in altri comparti del made in Italy, pensano che sia stato un errore permettere nel 1999 a Pechino di entrare nel Wto senza sufficienti contropartite, senza un negoziato che tutelasse maggiormente i produttori nazionali. Si è fatta strada in questi mesi l'idea che i governanti di allora abbiano agito sulla base di una genuina spinta liberale all'integrazione dei mercati e all'inclusione dei Paesi terzi, non avendo però minimamente presenti le ricadute sull'offerta italiana.
Che sia corretta o no, questa visione è diventata maggioritaria dentro diverse associazioni di rappresentanza e persino all'interno del Parlamento. Non è un caso che la legge sulla difesa del made in Italy (la Reguzzoni-Versace) sia stata approvata a larghissima maggioranza alla Camera, in ragione del fatto che i deputati del centro-sinistra pensano sia necessario proteggere in forme nuove i nostri artigiani tessili. Ma avendo mancato l'biettivo 11 anni fa al Wto di Seattle, è credibile oggi rilanciarlo in condizioni differenti e meno favorevoli per l'Europa?
Anche la collaborazione con i cinesi che vivono e lavorano in Italia non induce all'ottimismo. Le ricerche sul campo testimoniano come il flusso delle rimesse verso la madrepatria siano in costante aumento (e nei primi 7 mesi del 2009 sono salite del 28,8%), mentre l'integrazione reale non faccia passi in avanti. La collaborazione tra le comunità cinesi e le wautorità italiane va avanti a singhiozzo, per dirla in termini eufemistici. E questa considerazione vale per la "Chinatown milanese", ma soprattutto per Prato. Il caso toscano è sicuramente un unicum, ma proprio per questo può rappresentare la chiave di volta per una discussione pubblica meno politically correct e più pragmatica . A Prato non solo c'è stata una concentrazione di immigrati dello stesso paese sullo stesso comprensorio, ma è nato un vero distretto industriale parallelo. Laddove i pratesi non avevano avuto la lungimiranza di scendere a valle a produrre direttamente abiti, i cinesi hanno inventato un modello di industria, il pronto moda, perfetto per alcuni Paesi della nuova Europa e per i nostri mercatini rionali. Purtroppo ciò è avvenuto (finora) comprando stoffa e tessuti in Cina e sfruttando i propri connazionali nei laboratori-dormitorio. Un'inversione di tendenza è auspicabile e possibile, ma la riflessione non può essere circoscritta alla sola Toscana. Dovrebbe interessare persino Bruxelles se non prevalessero (miopi) visioni nazionalistiche.

sabato 10 aprile 2010

"Braveheart - Cuore impavido"



BRAVEHEART - Nella Scozia del XIII secolo, vessata dagli inglesi, William Wallace (1267-1305), al quale hanno ucciso la moglie, si mette a capo di un gruppo di disperati ribelli, li trasforma in esercito, batte gli inglesi a Stirling (1297), conquista la stima della regina Isabella, prosegue la guerriglia, è sconfitto a Falkirk (1304), abbandonato dai nobili passati al re Edoardo I finché è preso e giustiziato. Idealmente diviso in 3 parti (adolescenza, prime prove di coraggio e dolori di Wallace; le battaglie; i conti con la Storia), è un filmone epico che punta sullo spettacolo, su grandi temi popolari (la lotta per la libertà e la giustizia), sui luoghi canonici del genere. Vale soprattutto per le battaglie che coniugano i quadri di Paolo Uccello con la tecnologia del cinema moderno. Successo internazionale e 5 Oscar: film, regia, fotografia (John Tull), effetti speciali sonori e trucco. 1700 comparse e interminabili titoli di coda.

"... Certo, chi combatte può morire… chi fugge resta vivo, almeno per un po'… Agonizzanti in un letto, fra molti anni da adesso… siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi per avere l'occasione, solo un'altra occasione, di tornare qui sul campo, ad urlare ai nostri nemici che possono toglierci la vita ma non ci toglieranno mai la libertà!
(William Wallace)

"L'ultimo Samurai"



L'ULTIMO SAMURAI - Storia del Capitano Algren del 7° cavalleggeri e del suo coinvolgimento nell'epopea che decretò l'ingresso della civiltà nipponica tra le moderne potenze militari. Il prezzo da pagare fu mettere fine alla millenaria tradizione dei samurai, guardia scelta dell'Imperatore, guidata nel suo canto del cigno da Katsumoto, grande guerriero. Algren, prigioniero dei samurai, conosce un mondo fondato su valori dimenticati che imparerà ad amare. The Last Samurai porta la firma di Tom Cruise più che del suo regista, Zwick, che si conferma un discreto mestierante: la sua è una regia senza impennate né cadute, prevedibile ma godibilissima. Nel complesso il film è molto curato e la minuziosa rappresentazione di una cultura a noi così lontana tiene alta l'attenzione fino alla fine, nonostante le due ore e mezzo di durata complessiva.

"Katsumoto: Tu pensi che un uomo può cambiare il suo destino?

Nathan Algren: Io penso che un uomo fa ciò che può, finché il suo destino non si rivela."

domenica 4 aprile 2010

Spirit - cavallo selvaggio


Quello che vi voglio raccontare non si legge sui libri.
Dicono che la storia del west sia stata scritta in sella ad un cavallo,
ma non è mai stata raccontata da uno di noi...almeno finora.
Io sono nato qui, in quello che avrebbero chiamato il vecchio west,
ma per quelli come me questa terra è senza età, senza inizio e senza fine,
senza limite fra terra e cielo.
Come il vento nell'erba della prateria, noi eravamo parte di questo posto,
e ne saremmo sempre stati parte.
Dicono che i Mustang siano lo spirito del west;
che quel west sia stato vinto o perso alla fine dovrete deciderlo voi.
Ma la storia che vi voglio raccontare è vera, io ero là, e me lo ricordo.
Mi ricordo il sole,e il cielo e il vento che mi chiamava per nome;
al tempo in cui i cavalli selvaggi correvano liberi.

LA TRAMA (tratto da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=33951) Nuovo lungometraggio animato della Dreamworks e dei creatori di Shrek, meritato successo planetario. Bastano poche sequenze per capire che Spirit non ha molto a che vedere con Shrek. Prima di tutto è realizzato con le tecniche tradizionali del cartone animato e lo si nota subito nella morbidezza dei tratti e nel movimento fluido dei personaggi. Poi non è così sopra le righe come il fortunato Shrek, ma è stato pensato come un prodotto per famiglie: è più conformista, politicamente corretto nel suo apologo ecologico. Per di più il protagonista, lo stallone Spirit, è un personaggio completamente antropomorfizzato nel modo di sentire e di agire. Lo schema è manicheo: il bene da una parte, il male dall'altro; la civiltà e la natura, l'odio e l'amore. È una sfida a Disney con un contenuto disneyano 100%. La storia è semplicissima. L'animale, nato libero e selvaggio nelle praterie erbose del West, viene condotto in cattività in un fortino di bianchi che compiono le peggiori nefandezze nei confronti dei pellerossa e della natura che li circonda. Il giovane Lakota Little Creek lo libera e lo conduce in un villaggio indiano dove l'animale incontra l'amore e ritrova il suo stato primordiale.

venerdì 2 aprile 2010

Il Capo tribù Erqole



Il Capo Tribú Erqole non ha mai (MAI) preso una scusa! Faceva esempi pratici per riportare a terra concetti elevatissimi e cosí mi raccontava molte storie divertenti per rallegrarmi, altre storie appassionate per entusiasmarmi, delle barzellette per aiutarmi a pensare...
E poi rideva, scherzava, insegnava ad ogni parole e commuoveva... mentre mi esortava ad allenarmi tutti i giorni per essere in grado di realizzare quello che avrei voluto essere, pienamente, nella mia vita.

"Non nasciamo felici o tristi" - diceva - "e spetta a noi impegnarci giorno dopo giorno per arrivare ed entrare nel regno della felicitá o della tristezza". E poi: "la felicitá e la tristezza non ce le ha date nessuno e nessuno puó togliercele! Secondo quello che coltiviamo avremo il raccolto".
Quando diventai papá mi disse una cosa del genere: "se vuoi fare un regalo a tuo figlio, inizia a lavorare sul padre". Credevo sapesse, in un primo momento, delle cose che mi erano sfuggite su mia moglie...!!! "Quello di cui avrá bisogno sará un genitore allegro, che gioca con lui, che ride e che scherza, che lo ascolta e condivide le sue scoperte e le sue curiositá".

E allora oggi mi piace ricordarlo cosí:
Conosci la tribù degli indiani Cucù? C'è l'indiano Cuore che raccoglie le more,c'è Cuoio un indianone che fa lo stregone,c'è Scuola l'indiana che fila la lana,c'è l'indiano Cuoco che accende un bel fuoco. Conosci la tribù degli indiani Cucù? Se li scrivi con la Q ride tutta la tribù!!!!!