Ho sentito la presentazione di questo libro "Non vi lascerò orfani" scritto da Daria Bignardi, un pò di tempo fa alla radio durante la trasmissione "Deejay chiama Italia" e ne sono stato subito attratto (anche se prima ho dovuto smaltire un po di libri in arretrato) sia per la presentazione accattivante ma soprattutto dal tema trattato, essendo orfano di entrambi i genitori. L'autrice con questo libro sembra voler riscattare un qualcosa che la lega profondamente alla madre ed in qualche modo io sto facendo la stessa cosa con questo piccolo commento, voglio rivolgere un pensiero alla mia di mamma. Nel libro si sente un forte attaccamento alla famiglia e non importa se quello della scrittrice è un racconto autobiografico, si viene rapiti (almeno cosi è successo a me) dai racconti, dai particolari, dai sentimenti, insomma ci si sente parte di un qualcosa di speciale. Un libro che mi sento di consigliare a chi come me ha perso la mamma o una nonna speciale e presente, ma soprattutto a chi ha ancora la fortuna di viverci accanto a gustare giorno dopo giorno questo enorme DONO. buona lettura.
"NON VI LASCERO' ORFANI" - Questo libro, pur raccontando una morte, parla della vita. E ci dice che è sempre meglio dare che non dare, anche quando si sbaglia. Perchè in una famiglia l'unica cosa che fa davvero male è l'assenza, è il non dare, mentre il caos e il calore delle esperienze condivise rafforzano le nostre radici e la nostra identità. Attraverso il lessico famigliare, quel codice privato di parole e modi di dire che rende ogni famiglia unica. "Non vi lascerò orfani" racconta come può essere intensa una vita anche quando è segnata dall'ansia e dall'insicurezza. La morte è quella di Giannarosa, la madre irruente ed apprensiva: è lei l'insuperabile latinista che nel 1944, sotto i bombardamenti, incontra il giovane Ludovico. Tra loro è subito furentismo, un entusiasmo amoroso travolgente. Vico è del 1914: un uomo d'altri tempi che ama andare a caccia e fare il galante con le signore. Ed è innamorato delle due figlie femmine: la più piccola, Daria, e la maggiore Donatella, complici e sempre alleate. Poi c'è Micione, il fratello-gatto, che dorme sul televisore e sul più bello lascia cadere la coda davanti allo schermo, suscitando cori e proteste da parte della famiglia: "Micione, la coda!". Daria Bignardi scava nella memoria, dove nulla va perduto e si rivelano legami inattesi: i nonni repubblicani, i parenti fascisti, lo zio santo, la casa di Castel San Pietro senza acqua calda, e ancora Ferrara, Bologna, Cingoli. Tutto - persone e luoghi - ha lasciato qualcosa. La nebbia della pianura padana, Jesus Christ Superstar, Contadin Fortunato, lo scheletro del soldato tedesco in cantina, il gatto Alonzo, i fantasmi che alzano i materassi, l'occupazione della scuola. Tutto è storia individuale, di una famiglia, di un'epoca: tutto ha lasciato un segnoe ci ha resi ciò che siamo. Ma ogni cosa gira intorno al rapporto complicato tra madre e figlia, e che - come spesso accade - è fatto di trasporto e identificazione ma anche di bisogno di separarsi, di quella necessità di scrivere il proprio destino che spesso sta alla base dei conflitti. Con appassionata nostalgia, in equilibrio, tra commozione e divertimento, Daria Bignardi racconta una vicenda dolce e ironica, affascinante come una foto in bianco e nero, viva come un abbraccio: una storia proiettata all'improvviso sullo schermo della memoria quando la protagonista scompare. La storia di un amore più forte dell'assenza, un racconto in cui sarà inevitabile per chiunque, pur nell'assoluta singolarità della voce narrante, riconoscersi.
Pillole del libro che mi hanno colpito:
"...E' bello stare accanto a chi muore. Quella notte mi era sembrato di partorirlo io mio padre, mentre se ne andava dolosamente: per niente sereno, per niente forte, umano come Cristo in croce. Lei l'ho mancata per mezz'ora, dopo che per tutta la vita non l'avevo lasciata mai, anche se non vivevamo più insieme da tanto tempo. Sono figlia di genitori anziani, da bambina mia madre lo ripeteva sempre. Significava che avrei dovuto presto mantenermi da sola, e così ho fatto..."
"...Questo è la morte, oltre alla mancanza di chi non c'è più: è la vita, con tutti i suoi ricordi. E' amore. Tutto l'amore che chi se ne va ci ha dato, buono o cattivo che sia stato. Per quello che soffriamo quando ci muoiono i genitori: sappiamo bene che nessuno ci amerà mai più di cosi. Ci piangiamo addosso, meschini. Se muoiono di malattia è un'agonia. Se muoiono improvvisamente una sciabolata nel cuore. Ti manca un pezzo e non ci puoi credere che potrai vivere senza il loro sguardo addosso. Senza la possibilità di far felice qualcuno solo perchè hai telefonato, hai sorriso, ti sei ricordato, hai fatto un gesto piccolo che non ti è costato niente, solo perchè sei contenta. Solo perchè esisti. Capisci che l'unica cosa che conta nella vita è l'amore che puoi dare a chi te lo chiede, che siano figli, i nonni o la prima persona che incontri per strada. Che essere gentili e pazienti conviene, perchè quello che non abbiamo dato pesa più di qualunque cosa possiamo aver perso: tempo, divertimento, riposo. Ti illudi che ora che l'hai capito passerai il resto della vita ad amare gli altri. Forse lo farai. Forse no..."