Oggi voglio condividere con voi questo brano tratto dal libro "La fortuna non esiste" di Mario Calabresi, intotolato "nata due volte". Oggi, appunto, per molti è il giorno del grande rientro al lavoro dopo le vacanze estive, e un po come si fa il 1 gennaio in questo periodo si fanno nuovi progetti e nuovi propositi, sia dal punto di vista professionale che personale, ecc. Un modo per ripartire e darsi nuovi obiettivi, insomma l'occasione per avere una "nuova vita"... Spero vi piaccia...buona lettura
NATA DUE VOLTE – (tratto da “La fortuna non esiste” di Mario Calabresi)
Da cinque giorni era cominciato un autunno tumultuoso che avrebbe portato l’Italia in guerra. I giornali di quella mattina raccontavano di un cannoneggiamento delle navi italiane a Durazzo, in Albania. A Torino maturavano manifestazioni di interventisti e di neutralisti, scioperi e una rivolta per il rincaro del prezzo del pane. Alle cinque del pomeriggio il dottor Buscaglino, di professione medico di famiglia, aveva finito il giro delle visite, quando decise di passare in via Pier Carlo Boggio 134, in quella zona tra la Crocetta e la zona industriale San Paolo che chiamavano il Polo Nord, perché li faceva sempre freddo. Anche quel pomeriggio, nonostante fosse stata una giornata soleggiata, la temperatura era sotto lo zero e il termometro nella notte avrebbe fatto segnare -6. Si fermò davanti al portone, si aggiustò i baffi rossi che erano il suo biglietto da visita, entrò nell’androne e chiese alla portinaia notizie della signora Marietta Cavatore e della sua gravidanza. La donna scosse la testa: “E’ caduta nel primo pomeriggio e ha perso la bambina. E’ nata morta”. “Perché era femmina?” chiese istintivamente il medico. “Si, ma non è sopravvissuta”. Il dottor Buscaglino rimase immobile, era padre di due maschi, una figlia femmina era il sogno della sua vita, e gli sembrava terribilmente ingiusto che quel giorno il mondo avesse perso una bambina. Prese le scale, salì al secondo piano e suonò. Il medico se n’era già andato da tempo, in casa c’erano solo la madre e la nonna della bambina. Aprì la nonna Rosa, si conoscevano da sempre perché abitavano nello stesso palazzo, in Corso Vinzaglio, da quando lei si era trasferita da Montà d’Alba. Entrò piano nella camera, Marietta giaceva a letto. Era scivolata in casa mentre era incinta di sei mesi e mezzo e aveva avuto un’emorragia. Il medico, arrivato quasi subito, era riuscito a bloccare il sangue, ma non aveva potuto evitare il parto spontaneo. Aveva dovuto registrare la perdita di una bambina venuta al mondo troppo prematura per poter sopravvivere. Il dottor Buscaglino, con un certo imbarazzo, chiese dove fosse stata messa la neonata. Marietta non rispose neppure, Rosa fece un cenno con la testa indicando il mobile toilette con lo specchio: “Non sono ancora passati a prenderla”. Un fagotto fatto con le federe dei cuscini era appoggiato sul piano di marmo. Il dottore si avvicinò, lo aprì con cautela, si fermò a guardare la bambina con i palmi appoggiati sul marmo gelato, poi poggiò una mano sulla pancia della bambina per farle una carezza e ci fu un movimento: “Ma non è fredda: è tiepida”. La sollevò di scatto: “Disgraziati, ma questa bambina è mica morta, è viva”. “Ma non ha mai respirato, non ha pianto, non era neanche di sette mesi” gli rispose nonna Rosa. “Non ha la forza per piangere, portate delle coperte, riscaldiamola”. Si mise a massaggiarla senza sosta, la avvolse nella lana e poi si avvicinò alla madre e, come in preda ad una visione, cominciò a parlare in modo concitato: “Me la lasci portare a casa, ci voglio provare, non bisogna arrendersi: le costruirò una culla con la bambagia, le metto una lampada sopra, giorno e notte, le possiamo dare il latte con il contagocce”. Marietta fece di si con la testa, non aveva più parole, aveva perso e ritrovato la sua prima figlia, ma non voleva illudersi. Il medico strinse al petto il fagotto di lana e uscì di corsa. La portinaia sgranò gli occhi a vederlo passare con quell’involto che conteneva una bambina sotto il cappotto e lui le gridò: “Mandi qualcuno ad avvisare il becchino, non c’è più bisogno che venga”. Era il 5 gennaio 1915, martedì. Maria Tessa, mia nonna, cominciò quel giorno, tra le braccia di un fascinoso medico dal pizzetto rosso, un’avventura che l’avrebbe portata a vedere l’elezione di Baraci Obama. Il dottor Buscaglino, di cui la nonna non ricorda il nome, se la portò a casa e la tenne per mesi in cucina, con la stufa sempre accesa per avere una temperatura costante, la fece crescere e poi l’affidò a nonna Rosa, perché la madre ci metteva molto tempo a riprendersi. La bambina tornò alla casa di via Boggio quando aveva due anni, era magrolina, camminava veloce e volle fare le scale da sola.
“Ero un piccolo pollo che non aveva neppure la forza di piangere, ma sono arrivata fin qui perché ho incontrato un uomo che aveva voglia di scommettere sulla vita, che ebbe il coraggio di assumersi un rischio, di pensare con la sua testa e di non arrendersi quando gli altri mi davano per morta. Ho vissuto 94 anni, ma alla fine l’unica lezione che mi porto dentro è che non bisogna mollare mai. Mai arrendersi: bisogna essere curiosi, ambiziosi e artefici del proprio destino”.
Da cinque giorni era cominciato un autunno tumultuoso che avrebbe portato l’Italia in guerra. I giornali di quella mattina raccontavano di un cannoneggiamento delle navi italiane a Durazzo, in Albania. A Torino maturavano manifestazioni di interventisti e di neutralisti, scioperi e una rivolta per il rincaro del prezzo del pane. Alle cinque del pomeriggio il dottor Buscaglino, di professione medico di famiglia, aveva finito il giro delle visite, quando decise di passare in via Pier Carlo Boggio 134, in quella zona tra la Crocetta e la zona industriale San Paolo che chiamavano il Polo Nord, perché li faceva sempre freddo. Anche quel pomeriggio, nonostante fosse stata una giornata soleggiata, la temperatura era sotto lo zero e il termometro nella notte avrebbe fatto segnare -6. Si fermò davanti al portone, si aggiustò i baffi rossi che erano il suo biglietto da visita, entrò nell’androne e chiese alla portinaia notizie della signora Marietta Cavatore e della sua gravidanza. La donna scosse la testa: “E’ caduta nel primo pomeriggio e ha perso la bambina. E’ nata morta”. “Perché era femmina?” chiese istintivamente il medico. “Si, ma non è sopravvissuta”. Il dottor Buscaglino rimase immobile, era padre di due maschi, una figlia femmina era il sogno della sua vita, e gli sembrava terribilmente ingiusto che quel giorno il mondo avesse perso una bambina. Prese le scale, salì al secondo piano e suonò. Il medico se n’era già andato da tempo, in casa c’erano solo la madre e la nonna della bambina. Aprì la nonna Rosa, si conoscevano da sempre perché abitavano nello stesso palazzo, in Corso Vinzaglio, da quando lei si era trasferita da Montà d’Alba. Entrò piano nella camera, Marietta giaceva a letto. Era scivolata in casa mentre era incinta di sei mesi e mezzo e aveva avuto un’emorragia. Il medico, arrivato quasi subito, era riuscito a bloccare il sangue, ma non aveva potuto evitare il parto spontaneo. Aveva dovuto registrare la perdita di una bambina venuta al mondo troppo prematura per poter sopravvivere. Il dottor Buscaglino, con un certo imbarazzo, chiese dove fosse stata messa la neonata. Marietta non rispose neppure, Rosa fece un cenno con la testa indicando il mobile toilette con lo specchio: “Non sono ancora passati a prenderla”. Un fagotto fatto con le federe dei cuscini era appoggiato sul piano di marmo. Il dottore si avvicinò, lo aprì con cautela, si fermò a guardare la bambina con i palmi appoggiati sul marmo gelato, poi poggiò una mano sulla pancia della bambina per farle una carezza e ci fu un movimento: “Ma non è fredda: è tiepida”. La sollevò di scatto: “Disgraziati, ma questa bambina è mica morta, è viva”. “Ma non ha mai respirato, non ha pianto, non era neanche di sette mesi” gli rispose nonna Rosa. “Non ha la forza per piangere, portate delle coperte, riscaldiamola”. Si mise a massaggiarla senza sosta, la avvolse nella lana e poi si avvicinò alla madre e, come in preda ad una visione, cominciò a parlare in modo concitato: “Me la lasci portare a casa, ci voglio provare, non bisogna arrendersi: le costruirò una culla con la bambagia, le metto una lampada sopra, giorno e notte, le possiamo dare il latte con il contagocce”. Marietta fece di si con la testa, non aveva più parole, aveva perso e ritrovato la sua prima figlia, ma non voleva illudersi. Il medico strinse al petto il fagotto di lana e uscì di corsa. La portinaia sgranò gli occhi a vederlo passare con quell’involto che conteneva una bambina sotto il cappotto e lui le gridò: “Mandi qualcuno ad avvisare il becchino, non c’è più bisogno che venga”. Era il 5 gennaio 1915, martedì. Maria Tessa, mia nonna, cominciò quel giorno, tra le braccia di un fascinoso medico dal pizzetto rosso, un’avventura che l’avrebbe portata a vedere l’elezione di Baraci Obama. Il dottor Buscaglino, di cui la nonna non ricorda il nome, se la portò a casa e la tenne per mesi in cucina, con la stufa sempre accesa per avere una temperatura costante, la fece crescere e poi l’affidò a nonna Rosa, perché la madre ci metteva molto tempo a riprendersi. La bambina tornò alla casa di via Boggio quando aveva due anni, era magrolina, camminava veloce e volle fare le scale da sola.
“Ero un piccolo pollo che non aveva neppure la forza di piangere, ma sono arrivata fin qui perché ho incontrato un uomo che aveva voglia di scommettere sulla vita, che ebbe il coraggio di assumersi un rischio, di pensare con la sua testa e di non arrendersi quando gli altri mi davano per morta. Ho vissuto 94 anni, ma alla fine l’unica lezione che mi porto dentro è che non bisogna mollare mai. Mai arrendersi: bisogna essere curiosi, ambiziosi e artefici del proprio destino”.